Ai fini del limite dei 400.000 euro valgono solo i corrispettivi incassati

Finalmente dalla Cassazione la parola fine al “criterio di cassa allargato”, da sempre sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, da sempre criticato da tutti commentatori. E non dice solo quello…

A. Le fonti normative e regolamentari

Dopo l’emanazione della legge 398/91, sull’individuazione di cosa entrasse nel calcolo del limite per poterne usufruire (oggi 400.000 euro) si è susseguita una serie ben lunga di provvedimenti, che hanno individuato due diversi criteri.

a/1 – Il criterio di cassa

Di questi provvedimenti ci limitiamo a richiamare solo i principali, partendo ovviamente dalla legge 398/91, che:

a) all’art. 1 della L. 398/91 stabilisce che possono optare per il regime speciale “ le associazioni sportive … che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito … proventi [commerciali, n.d.a.] per un importo non superiore a lire 360 milioni” (limite che l’art. 1, comma 50 della Legge 232/2016 ha portato da ultimo a 400.000 euro)

b) all’art. 2 comma 2 sempre della legge 398/91 stabilisce che “… i soggetti che fruiscono dell’esonero devono annotare nella distinta d’incasso o nella dichiarazione d’incasso … qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali”;

c) al comma 5 del medesimo art. 2 stabilisce che “… il reddito imponibile … è determinato, applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività …”;

Ben chiara è l’interpretazione dell’allora Ministero delle Finanze, nella Circolare 1/1992, illustrativa della legge 398 nella quale si afferma che, “stante la particolarità della disciplina introdotta dalla L. 398 per i soggetti ivi indicati, ai fini dell’individuazione dei proventi in argomento deve aversi riguardo al criterio di cassa”.

La legge e la circolare interpretativa di essa sono chiare nell’individuare il criterio di cassa: rilevano i proventi conseguiti (indipendentemente dalla data di fatturazione).

a/2 – Il criterio di “cassa allargata”

Successivamente la SIAE, con la Circolare 712/92, ha invece dato una diversa interpretazione della norma, introducendo il c.d. “criterio di cassa allargato”, in forza del quale, pur essendo il regime 398/91 basato sul criterio di cassa, deve intendersi che, in tale ambito “resta fermo il principio voluto dalla normativa IVA secondo cui vanno computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”.

Tale “criterio di cassa allargato” è stato ripreso da un successivo provvedimento amministrativo, il DM del Ministero delle Finanze 18/5/1995, rubricato “Approvazione dei modelli di distinta e di dichiarazione di incasso e delle relative modalità di compilazione per le associazioni sportive dilettantistiche … nel quale, al punto 1 dell’Allegato E, si legge che “stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398, occorre precisare che per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al criterio di cassa, nel cui ambito, peraltro, resta fermo il principio voluto dalla normativa IVA secondo cui vanno computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”.

a/3 – La Circolare 18/2018

Oltre a svariati altri interventi, sul punto si è infine esplicitamente pronunciata la nota Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/2018, la quale al paragrafo 3.7 afferma che “qualora anteriormente alla percezione del corrispettivo sia emessa fattura, andranno in tali ipotesi computati anche gli introiti fatturati ancorché non riscossi” e che “Tale criterio deve essere seguito … al fine della determinazione del plafond dei 400.000 euro e dell’applicazione delle modalità forfettarie di determinazione del reddito imponibile e dell’Iva proprie del regime di cui alla legge n.398 del 1991”.

B. Le conseguenze del criterio di “cassa allargata”

Il problema si pone pertanto quando viene emessa una fattura che non viene incassata entro la fine dell’esercizio. In tal caso come ci si deve comportare ai fini:

1 – del versamento dell’IVA esposta in fattura;

2 – dell’assoggettamento a tassazione dei ricavi oggetto di fatturazione;

3 – del calcolo del plafond dei 400.000 euro per poter accedere al regime agevolato della legge 398/91?

b/1 – ai fini IVA

Sotto tale profilo non ci sono mai stati dubbi applicativi o criticità interpretative; per l’individuazione del momento in cui un’operazione si considera effettuata (e, conseguentemente, la relativa imposta deve essere versata) basta seguire le disposizioni dettate dall’art. 6 del d.p.r. 633/72, il quale:

– al comma 2 stabilisce che “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo

– al comma 3 che “Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi … sia emessa fattura … l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato …, alla data della fattura

– al comma 4, che “L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti”.

Poiché la speciale disciplina di cui alla legge 398/91 non detta alcuna eccezione a tali principi generali, è quindi sempre stato pacifico che ai fini IVA ciò che rileva è il momento di emissione della fattura.

Fra l’altro ciò è in perfetta simmetria con il fatto che l’emissione della fattura legittima il destinatario a effettuare la detrazione dell’imposta addebitata nella stessa; viene così rispettato il principio cardine della neutralità di tale tributo, da sempre stabilito e ribadito in sede comunitaria.

Sotto il versante IVA, dunque, è certo e incontestabile il fatto che l’emissione di una fattura comporta l’obbligo del versamento della relativa IVA, ancorché la fattura medesima non sia stata ancora incassata.

b/2 – ai fini dell’assoggettamento a imposizione diretta

Ai fine delle imposte dirette è invece ben chiaro il principio stabilito dall’art. 2, comma 5, della legge 398/91, già citato sopra “il reddito imponibile … è determinato, applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività …”.

Principio di cassa sempre confermato anche a livello di prassi amministrativa con i documenti sopra citati: circ. 1/92 e DM 18/5/1995.

Pareva dunque pacifica l’esistenza di un doppio binario, nell’ambito del quale l’assoggettamento a imposizione reddituale avviene nell’anno dell’incasso del corrispettivo, mentre il versamento dell’IVA avviene in relazione al trimestre di emissione della fattura.

Si tratta di una situazione già pacificamente presente in altre situazioni; una fra tutte, quella dei professionisti, il cui reddito imponibile ai fini IRPEF è determinato secondo il principio di cassa, mentre ai fini IVA il versamento dell’imposta è legato al momento della fatturazione.

A metterla in discussione, anzi a stabilire esplicitamente qualcosa di completamente diverso, è stata la citata Circolare 18/2018, che come detto introduce (diremmo “pretende di introdurre”) il criterio di cassa allargato ai fini delle imposte dirette.

E ciò senza peraltro dire cosa accada nell’anno successivo: il corrispettivo fatturato nell’anno x e riscosso nell’anno x+1 deve o non deve essere considerato ai fini delle imposte dirette nell’anno x+1? Logica direbbe pacificamente sì, per evitare una doppia imposizione, ma … la Circolare non lo dice.

b/3 – ai fini del limite dei 400.000 euro

Il criterio di cassa allargata (dando per pacifico, anche se del tutto non lo è, che il corrispettivo riscosso l’anno successivo non vada considerato in tale anno), pur non condivisibile, non crea in realtà particolari problemi in sede di determinazione delle imposte (dirette) dovute: si tratta solo di anticipare di un anno le imposte che presumibilmente sarebbero comunque dovute l’anno successivo.

Dove il problema è invece assai preoccupante è quando viene utilizzato per verificare se è stato o meno superato il limite per potersi avvalere del “regime 398”: l’associazione sportiva che abbia fatturato nell’anno 410.000 euro, incassandone solo 390.000:

– seguendo il principio di cassa, ha diritto di avvalersi, nell’anno successivo, del “regime 398”

– seguendo il principio di cassa allargata no.

C. Ma chi ha ragione? La gerarchia delle fonti del diritto

Abbiamo visto che le disposizioni e interpretazioni citate sopra affermano principi in palese e insanabile contrasto; quando ciò accade, quali prevalgono?

Vedremo più avanti come la questione viene affrontata dalla sentenza della Suprema Corte che stiamo commentando, per evitare ripetizioni ci limitiamo qui a ricordare che tale eventualità è chiaramente disciplinata dal codice civile, che detta una chiara gerarchia delle fonti: il criterio gerarchico sancisce infatti la prevalenza della fonte di rango superiore rispetto a quella di livello inferiore, precludendo a quest’ultima di derogarvi o di porsi in contrasto con il contenuto della fonte sovraordinata, pena la declaratoria di illegittimità.

Così, ad esempio, le leggi ordinarie non possono prevedere disposizioni in contrasto con la Costituzione, e i regolamenti governativi non possono derogare alla legge ordinaria.

Né può essere adottato, a tal fine, il c.d. “criterio cronologico”: tale criterio si applica infatti in caso di contrasto tra norme giuridiche di pari grado gerarchico, adottate in momenti diversi. In tal caso, per stabilire quale norma applicare si dà rilievo al dato temporale, dando prevalenza alla norma più recente rispetto a quella precedente con essa incompatibile. Con l’entrata in vigore della nuova norma quella più vecchia cessa quindi di avere efficacia.

I regolamenti, che rappresentano fonte secondaria di natura statale per eccellenza, sono disciplinati dagli artt. 1, 3 e 4 delle c.d. “preleggi” al codice civile e dall’art. 17 della L. 400/88, emanato ai sensi dell’art. 3 delle stesse, in base ai quali i regolamenti governativi si collocano, nell’ordine gerarchico delle fonti, in posizione subordinata rispetto alle fonti primarie, rappresentate dalla legge.

In particolare, la natura di fonte secondaria del diritto fa sì che il regolamento non possa derogare agli atti aventi forza di legge, ai sensi dell’art. 4 comma 1 delle preleggi.

Ben chiaro è il comma 3 dell’art. 17: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere …. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo …”.

I decreti ministeriali, come il DM del 18/5/1995 sono quindi subordinati, oltre che alla legge, anche ai regolamenti di rango superiore.

Quanto alla valenza giuridica delle circolari, è noto, e la Cassazione lo ha ribadito ripetutamente (per tutte v. Cass. n. 2580/2012), che le stesse non costituiscono fonte di diritti e obblighi, “hanno carattere interno e non sono vincolanti per i terzi né sono fonte di diritti a favore degli stessi né di obblighi a carico dell’amministrazione … Ne consegue che la circolare di interpretazione di una norma tributaria … esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante”.

Addirittura, “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata”.

Su un gradino ancor più basso della scala gerarchica stanno infine le Guide e le FAQ, strumento oggi assai utilizzato e senza dubbio estremamente utile nel fornire l’interpretazione dell’organo emanante in tempi rapidi, spesso chiare, utilizzando un linguaggio meno tecnico e più facilmente comprensibile. Ma sono comunque l’opinione dell’organo che le ha scritte, e certo non possono andare in contrasto con le norme che illustrano o interpretano.

D. La sentenza Cass. 22440 del 15/7/2022, finalmente!

E veniamo alla sentenza, della quale ci piace citare ampi stralci e scrivere poco commento, perché è talmente precisa e chiara, che non ce n’è veramente bisogno.

Anzi, è talmente chiara che non conoscendo “il riassunto delle puntate precedenti” parrebbe addirittura eccessivo che per giungere alle conclusioni che essa indica, si sia dovuti giungere fino alla Suprema Corte.

Oggetto della controversia è appunto l’utilizzo del criterio di cassa allargato, per disconoscere la spettanza del “regime 398” a causa del supero del limite dei 400.000 (nel caso specifico rapportato a un periodo più breve, essendo la società neocostituita, ma tale dettaglio non riveste alcuna importanza).

La Commissione Provinciale aveva respinto il ricorso, la Regionale dell’Abruzzo aveva accolto l’appello del contribuente.

d/1 – L’inquadramento della questione sulla base delle norme di legge

Nella prima parte della motivazione, la sentenza si esprime in questi termini:

– “Com’è noto, la L. n. 398/1991 indica i criteri forfetari per determinare le imposte da corrispondere in relazione all’attività commerciale delle associazioni sportive dilettantistiche, basandosi esclusivamente sui ricavi e senza tener conto dei costi

– “In particolare, essa stabilisce, all’art. 1, che ai fini del computo del plafond che consente l’accesso al regime agevolato … occorre aver riguardo ai proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali

– “L’art. 2, al comma 5, precisa poi che il reddito imponibile di tali organismi si calcola applicando il coefficiente di redditività del 3% … «all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali»

– “è pertanto indubbio che il momento rilevante per la determinazione del plafond è quello in cui il corrispettivo viene incassato

– “Del resto, la stessa terminologia è impiegata anche nella circolare illustrativa del Ministero delle Finanze n. 1 del 11.2.1992 … e trova riscontro nella previsione di cui all’art. 9, comma 3, del DPR n. 544/1999 in materia di imposte sugli intrattenimenti … In sintesi, la normativa richiamata, nel suo dato testuale corroborato dal documento di prassi interpretativa, evidenzia con chiarezza che nel calcolo del plafond devono essere conteggiati tutti i ricavi di natura commerciale incassati, con conseguente esclusione dei ricavi fatturati, ma non ancora incassati, durante il corso dell’anno sociale adottato dall’associazione”.

Possiamo aggiungere qualcosa? Diremmo proprio di no …

d/2 – L’esame delle altre fonti

Ma la sentenza non si ferma qui, perché esamina criticamente anche le interpretazioni di segno opposto, citate dall’Agenzia ricorrente, che “liquida” con questi termini:

– “Con riferimento a quanto indicato dalla circolare n. 18/E del 1° agosto 2018, basti qui osservare che le circolari costituiscono un atto di indirizzo della condotta degli uffici cui sono rivolte e non sono, perciò, fonte di diritti né di doveri, non vincolando il contribuente (v. Cass. n. 21698/2010, Cass. n. 10775/2013, Cass. SS.UU. n. 1915/2016 e numerose altre seguenti)

– “Quanto, poi, al contenuto del DM 18.5.1995, va anzitutto rilevato che, come espressamente affermato nella sua premessa, esso è esclusivamente finalizzato a dare attuazione alla previsione di cui all’art. 2, comma 2, della L. n. 398/1991, a mente del quale «i soggetti che fruiscono dell’esonero devono annotare … qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali»

– “In altri termini, la stessa portata attuativa del decreto è espressamente circoscritta alla regolazione della contabilità dei «proventi conseguiti» cui fa riferimento la norma primaria

– “In ogni caso … va osservato che l’ordinamento regola il rapporto tra le varie fonti di produzione del diritto in termini di gerarchia. L’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, infatti, indica fra le fonti del diritto prima le leggi e poi i regolamenti; e il successivo art. 4, rubricato “Limiti della disciplina regolamentare”, precisa che «I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi»”.

– “Pertanto, laddove volti a disciplinare la stessa materia, i regolamenti sono gerarchicamente subordinati alle leggi, così destinate a prevalere in caso di contrasto … In applicazione di tale criterio, pertanto, i profili di contrasto che l’art. 1 all’allegato E del DM 18.5.1995 presenta con la normativa primaria sono suscettibili di risoluzione in via di disapplicazione”.

d/3 – L’interpretazione teleologica

L’art. 12 delle preleggi al codice civile stabilisce che “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”: quest’ultima è l’interpretazione c.d. “teleologica”, ovvero quella che tiene conto degli “obiettivi avuti di mira dal legislatore” (enciclopedia Treccani).

Ora, anche sotto questo profilo la sentenza afferma che non si può giungere ad altra soluzione, e lo fa partendo proprio dai lavori preparatori della Legge 398/91:

– “Il particolare regime fiscale delle associazioni sportive dilettantistiche … costituisce espressione del riconoscimento, da parte dello Stato, di aggregazioni sociali ritenute meritevoli in quanto volte al perseguimento di scopi di pubblico interesse in assenza di finalità lucrative

– “Significativa, in tal senso, è la lettura dei lavori preparatori della L. 398 del 1991, donde emerge la chiara volontà del legislatore di «mettere tali associazioni in grado di operare eliminando quelle difficoltà e quelle incertezze che derivano dalla esistenza di obblighi tributari, soprattutto formali e contabili, che costituiscono una remora consistente allo sviluppo dell’associazionismo sportivo e sono spesso una fonte di contenzioso tributario»

– “in particolare ancorando l’adozione del regime agevolato al «conseguimento dei proventi»

Quindi l’adozione del principio di cassa viene stabilito per superare gli adempimenti e le formalità per agganciare il prelievo tributario, e soprattutto la spettanza del regime agevolato, al parametro di più facile individuazione: i proventi riscossi.

d/4 – Il principio di diritto

E in ossequio alla sua funzione nomofilattica (e anche qui un parolone dal significato invece molto semplice: “assicura[re] l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”, come stabilisce l’art. 65 del R.D. 12/1941) la sentenza conclude affermando esplicitamente e chiaramente il seguente “principio di diritto: «Le associazioni sportive dilettantistiche possono optare per il regime agevolato di cui all’art. 1 della L. 16.12.1991, n. 398 se nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito proventi nei limiti del plafond previsto … Ai fini del computo di tale plafond trova applicazione il criterio di cassa, con conseguente esclusione dei corrispettivi fatturati ma non ancora incassati, giustificandosi tale criterio con le particolari finalità, sottese alla possibile opzione per il regime agevolato, di tutela delle aggregazioni sociali senza scopo di lucro che perseguono finalità socialmente rilevanti»”.

E. Non finisce qui …

… perché la portata della sentenza, e soprattutto della sua motivazione, travalica la specifica questione che essa affronta, per estendersi a un’altra posizione dell’Agenzia delle Entrate, concordemente criticata ma sulla quale si sono già basate svariate contestazioni.

e/1 – La gerarchia delle fonti

Come abbiamo visto sopra, al punto “d/2”, la sentenza descrive chiaramente e sottolinea l’importanza e l’inderogabilità della gerarchia delle fonti, e per tale strada nello stralcio sopra già citato (che riportiamo nuovamente perché ci piace, ci piace tanto) afferma espressamente che “Con riferimento a quanto indicato dalla circolare n. 18/E del 1° agosto 2018, basti qui osservare che le circolari costituiscono un atto di indirizzo della condotta degli uffici cui sono rivolte e non sono, perciò, fonte di diritti né di doveri, non vincolando il contribuente”.

e/2 – Le attività connesse e non connesse

Ma se

– la legge 398/91 non fa alcuna distinzione fra attività connesse e non connesse, parlando semplicemente di “proventi

– la Circolare 18/2018 non è “fonte di diritti né di doveri, non vincolando il contribuente

– nell’ampio stralcio di essa viene più volte ribadita la distinzione fra attività connesse e non connesse

– la fonte su cui si basa la Circolare per sostenere tale distinzione è l’art. 9 del D.P.R. 544/1999, che è un Regolamento

– “laddove volti a disciplinare la stessa materia, i regolamenti sono gerarchicamente subordinati alle leggi, così destinate a prevalere in caso di contrasto

allora, se è giuridicamente infondato il criterio di cassa allargata perché stabilito da norme gerarchicamente inferiori, in palese e insanabile contrasto con la legge, per quale motivo dovrebbe essere legittimamente sostenuta la distinzione fra attività connesse e non connesse?

Magari se non ci fosse bisogno di arrivare fino alla Cassazione per dirlo esplicitamente, potremmo tutti risparmiare tempo, denaro e soprattutto (i contribuenti) preoccupazioni…

* Con il contributo di Giuliano Sinibaldi, commercialista in Pesaro