Enti associativi e IVA: anno nuovo ma stesso problema

Approvato al Senato il decreto legge che accompagna la legge di bilancio 2022: le operazioni verso soci non saranno più escluse da IVA ma esenti. E non è la stessa cosa. Il testo è ora all’esame della Camera.

Durante l’esame al Senato e a seguito della presentazione di alcuni emendamenti, il testo del Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022 prevede ora la riclassificazione, ai fini IVA, delle attività svolte dagli enti di tipo associativo del Terzo Settore e dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche, sino ad ora collocate fuori dal campo di applicazione del tributo, in attività rilevanti ai fini IVA ancorché, al verificarsi di una serie di presupposti, in regime di esenzione.

Qualora i presupposti richiesti per l’esenzione non si dovessero verificare, il collocamento fra le operazioni soggette a IVA comporterebbe l’applicazione dell’imposta nella misura ordinaria del 22%.

Il provvedimento ricalca sostanzialmente il tentativo già operato nell’ambito della legge di bilancio 2021 e poi abortito a seguito delle proteste del mondo non profit.

L’oggetto della disposizione di legge

Il c.d. “maxi-emendamento” al decreto fiscale approvato dal Senato, che ora attende il voto della Camera entro il 20 Dicembre, interviene sul trattamento IVA delle operazioni poste in essere dagli enti non commerciali, e in particolare sul trattamento dei c.d. “corrispettivi specifici” incassati da soci, associati e tesserati dei sodalizi,  attraverso  modifiche all’attuale disciplina che sopprimono alcune previsioni dell’art. 4 e, contemporaneamente, prevedono nuove ipotesi di operazioni ricomprese nell’art. 10 del Decreto IVA.

In sostanza, per le operazioni oggetto di intervento il regime di riferimento ai fini IVA diverrebbe quello della esenzione, in sostituzione della previgente ipotesi di esclusione dall’imposta, il che significa che tali operazioni, oggi considerate fuori del campo di applicazione del tributo, sarebbero attratte tra le operazioni soggette a IVA, ancorché, al verificarsi di alcune condizioni, da considerarsi esenti ai fini dell’imposizione.

Si allegano al presente articolo il testo del maxiemendamento ed un prospetto di riconciliazione fra l’attuale art. 4 del decreto IVA e i nuovi articoli 4 e 10 del medesimo decreto, così come risulterebbero dall’approvazione definitiva della proposta di legge.

L’entrata in vigore

Il provvedimento entrerà in vigore il giorno successivo della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dello stesso. Trattandosi di decreto fiscale collegato alla legge di bilancio, è auspicabile la pubblicazione sulla G.U. del 31/12 in modo da pilotarne l’entrata in vigore dal 01/01/2022, ma, considerato che l’esame definitivo della Camera avverrà il 20/12, non può essere esclusa anche un’entrata in vigore nel corso del mese di dicembre.

In ogni caso, e ovviamente salvo diverse specifiche disposizioni di differimento, il termine è comunque molto breve e ciò costringerebbe i sodalizi ad operare una variazione dell’impostazione contabile e fiscale in tempi strettissimi.

Le motivazioni

L’impostazione fiscale nazionale, che prevede il collocamento fuori del campo di applicazione dell’IVA delle operazioni effettuate dalle associazioni verso i propri soci, contrasta con la normativa comunitaria, atteso che l’art. 2 della sesta direttiva UE stabilisce che “sono soggette all’IVA … le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo”.

È stata quindi aperta fin dal 2010, presso la Commissione Europea, una procedura di infrazione a carico dell’Italia, nella quale si rileva tale violazione, segnalando che le operazioni in questione non possono essere inquadrate come “fuori campo IVA”, bensì, a norma dell’art. 132 di tale Direttiva, come operazioni esenti dall’imposta.

Come evidenziato nella procedura di infrazione, ciò non dovrebbe comportare una variazione nel gettito, atteso che sia le operazioni fuori campo IVA che quelle esenti non scontano l’imposta e non consentono la detrazione dell’IVA sugli acquisti, ma la distinzione giuridica è notevole, e ha non trascurabili conseguenze anche sul piano pratico.

Non solo: poiché il beneficio dell’esenzione è, nella lettera della novella, (fortemente) condizionato al rispetto di determinati requisiti, nella misura in cui tali requisiti non fossero rispettati (ovvero rappresentassero condizioni concretamente di difficile applicazione), la fuoriuscita dal regime di esenzione comporterebbe inevitabilmente l’assoggettamento a imposta delle operazioni poste in essere. Per un approfondimento della materia, e considerata la sostanziale analogia del provvedimento in oggetto con quello ipotizzato in sede di manovra economica dello scorso anno, si rinvia all’articolo di S. Andreani e G. Sinibaldi “Nella bozza della Legge di Bilancio una rivoluzione IVA per i sodalizi sportivi” pubblicato su Fiscosport.it

Le conseguenze operative

Rinviando al citato articolo per maggiori approfondimenti, le conseguenze della novella, in sintesi, sarebbero le seguenti:

  1. Tutti i sodalizi che effettuano prestazioni a fronte del pagamento di corrispettivi specifici dovranno aprire una P.IVA, compresi quelli che sino ad oggi ne sono privi perché non svolgono attività commerciale verso terzi.
  2. Conseguentemente, dovranno porre in essere tutti gli adempimenti contabili, documentali e dichiarativi cui sono soggetti i titolari di partita IVA (fatturazione, liquidazioni periodiche, dichiarazione IVA, comunicazioni all’Agenzia Entrate etc), fatte salve le agevolazioni previste dagli eventuali regimi speciali di riferimento (Legge 398/1991 o regime forfettario ex art. 80 o 86 del Codice del Terzo Settore per gli Enti del Terzo Settore generici o le APS/ODV).
  3. In particolare, a fronte dell’incasso dei corrispettivi specifici oggetto della riforma (incasso delle quote di frequenza ai corsi sportivi, ricreativi, culturali etc da parte di propri soci o tesserati) i sodalizi non potranno più emettere una semplice ricevuta ma dovranno emettere una fattura con indicazione della norma di esenzione dell’IVA (esente IVA art. 10 DPR 633/1972);

Gli adempimenti di cui alle lettere b) e c) potrebbero essere evitati qualora il sodalizio optasse per la c.d. “dispensa degli adempimenti per le operazioni esenti”, prevista dall’art. 36 bis del Decreto IVA, che consente l’esonero dagli adempimenti di fatturazione e dichiarazione IVA in relazione alle operazioni esenti dall’imposta. Tuttavia, in presenza anche di operazioni imponibili, tale opzione comporta la necessità di tenere una contabilità separata ai fini IVA per tali operazioni.

In ogni caso, qualora richiesta dal cliente, l’emissione di fattura sarà sempre obbligatoria.

Per espressa previsione della novella (art. 5, comma 15-sexies), le nuove disposizioni avrebbero effetto solo ai fini IVA. Ne consegue che rimarrebbero in vigore, al di fuori di tale tributo, le disposizioni previste dall’articolo 148 del T.U.I.R. e dagli articoli 79 e seguenti del Codice del Terzo Settore.

Ciò comporterebbe l’attivazione di un “doppio binario”: la medesima operazione continuerebbe infatti a beneficiare della de-commercializzazione ai fini delle Imposte Dirette pur essendo soggetta (ancorché esente) a IVA.

Doppio binario che dovrebbe comportare anche la non partecipazione delle operazioni in oggetto al calcolo dei plafond previsti dalle disposizioni agevolative previste in relazione allo svolgimento di attività commerciali: la L. 398/1991 che potrà essere utilizzata, a regime, esclusivamente dai sodalizi sportivi nonché i regimi forfettari previsti dagli articoli 80 e 86 del Codice del Terzo Settore.

A tale conclusione ci porta la lettura delle disposizioni sopra citate:

– ai sensi dell’art. 1 della L. 398/1991, le ASD (e SSD), possono optare per l’applicazione dell’imposta se nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a € 400.000,00.

Come chiarito nella circolare del Ministero delle Finanze n. 1 del 11/02/1992, “a tale riguardo è opportuno precisare che nel plafond … trovano collocazione tutti i proventi di cui all’art. 53 (ora 85) del menzionato T.U.I.R. n. 917 del 22 dicembre 1986, sempreché assumano, per l’attività svolta dalle associazioni in argomento, natura commerciale …  Sono, pertanto, esclusi i proventi derivanti dalle attività di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 108 (ora 143) del T.U.I.R. medesimo, fermo restando il disposto dell’art. 111 (ora 148) dello stesso T.U.I.R.

Per espressa previsione della norma, e come confermato dall’interpretazione autentica del Ministero delle Finanze, dunque, ai fini del calcolo del plafond occorre fare riferimento alle disposizioni del T.U.I.R., e non a quelle del Decreto IVA

Alla medesima conclusione si dovrebbe giungere in relazione ai regimi forfettari previsti dalla riforma del Terzo Settore atteso che anche gli artt. 80 e 86 del Codice del Terzo Settore fanno esplicito riferimento ai “ricavi” conseguiti nell’esercizio di attività commerciali, laddove la natura commerciale o meno delle attività è disciplinata, in linea generale, dall’art. 79 e, a livello speciale per le sole APS, dall’art. 85.

Tali ultimi passaggi, considerata la delicatezza della materia, necessiterebbero di una conferma ufficiale da parte del legislatore o, quantomeno, una conferma a livello di prassi da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il regime dell’esenzione per il settore sportivo

Nel settore sportivo dilettantistico, il regime di esenzione si applicherebbe alle prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica ovvero nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.

La disposizione recepisce pressoché integralmente la formula dell’art. 132, lett. m) della Direttiva UE.

Per quanto riguarda il richiamo allo “sport e all’educazione fisica” il pensiero va immediatamente alle nuove definizioni operate a tal fine dalla riforma dello sport (che poi proprio nuova non è, dato che ricalca letteralmente la definizione della Carta Europea del 1992 …), ampiamente analizzata su questa rivista, che tuttavia non è ancora operativa ed è tutt’ora oggetto di ipotesi di rivisitazione.

Rispetto all’attuale previsione di esclusione prevista dall’art. 4 del decreto IVA la formula appare addirittura più ampia, in quanto (nel rispetto anche in questo della direttiva comunitaria) fa riferimento alle “persone che esercitano lo sport”. Ne deriva che verrebbe meno la necessità che tali persone siano socie del sodalizio o tesserate per il medesimo organismo di affiliazione, tanto che la qualifica di tesserato viene indicata come alternativa alla regola generale (“ovvero”), a ben vedere non si comprende perché: il tesserato per definizione esercita lo sport!

Invece, rispetto alla direttiva UE, la formula utilizzata dal legislatore italiano risulta (incomprensibilmente) più restrittiva sotto l’aspetto oggettivo infatti, mentre la nuova disposizione parla di “associazioni sportive” la disposizione comunitaria prevede la formula più ampia di “organismi senza scopo di lucro”.

La differenza è evidente: nella formula di organismi senza scopo di lucro sarebbero immediatamente ricomprese anche le Società Sportive Dilettantistiche a responsabilità limitata (SSD a r.l.) e cooperative, laddove l’utilizzo del termine “associazioni sportive” non consente una immediata equiparazione dei soggetti societari.

Vero è che, a nostro avviso, la previsione dell’art. 90, c. 1, L. 289/2002 (“le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”) comporta inequivocabilmente l’equiparazione delle SSD alle ASD anche ai fini del regime IVA applicabile ai corrispettivi specifici, ma, anche in considerazione dei rumors che circolano da tempo (di cui abbiamo detto nella citata NL 23/2020), non si capisce per quale motivo il legislatore, che ha dichiaratamente voluto adeguare la normativa interna a quella comunitaria non abbia adottato esplicitamente la formulazione comunitaria di “organismo senza scopo di lucro”.

Probabilmente si tratta di un refuso, dovuto al fatto che la nuova previsione rappresenta un copia-incolla della vecchia formula dell’art. 4 (che, essendo previgente alla L. 289/2002 non poteva prevedere anche le SSD), ma sarebbe stato sufficiente utilizzare il termine comunitario di “ente senza scopo di lucro”, ovvero, la dicitura estesa società ed associazioni sportive dilettantistiche per dirimere ogni dubbio.

Anche perché l’organizzazione sportiva si è evoluta, e la presenza di SSD, soprattutto nel settore dell’impiantistica sportiva, anche, e soprattutto, di proprietà pubblica, è ormai predominante. Senza contare il fatto che numerose Federazioni Sportive pretendono la costituzione in forma di SSD per i sodalizi che partecipano a determinati campionati.

La mancata applicazione del meccanismo dell’esenzione comporterebbe quindi che il corso di nuoto, o ginnastica, o minibasket etc. avrebbero natura esente ovvero imponibile a seconda che ad erogarli fosse una ASD o una SSD, figure entrambe senza scopo di lucro e soggette alle medesime limitazioni ed obblighi richiesti per ottenere il riconoscimento sportivo, il che, in tutta evidenza, sarebbe paradossale (oltre che contrario alla direttiva UE).

Non solo: costringerebbe a rivedere “oggi per domani” tutti i piani finanziari delle SSD che hanno sottoscritto convenzioni per la gestione dell’impiantistica pubblica, che si vedrebbero costrette, come minimo, ad aumentare le tariffe del 22%.

Una volta chiarite le questioni della non rilevanza ai fini del limite per l’applicazione della Legge 398/91, e delle società sportive di capitali, e fatto salvo il serio problema della concorrenza, di cui infra, la trasmigrazione dal regime dell’esclusione al regime dell’esenzione non costituirebbe, ad avviso di chi scrive, necessariamente un problema o una limitazione per i sodalizi sportivi: vero che si porterebbe dietro alcuni adempimenti in più rispetto all’attuale situazione, ma avrebbe il grande beneficio di risolvere, una volta per tutte, le annose contestazioni circa la natura commerciale e l’assoggettamento ad IVA delle operazioni poste in essere dai sodalizi sportivi a livello di corsistica sportiva, che sono alla base dei numerosissimi avvisi di accertamento elevati nei loro confronti.

Il problema della concorrenza

Ma… c’è un ma, di enorme portata: l’esenzione IVA è subordinata alla “condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA, condizione che recepisce pedissequamente il requisito previsto dall’art. 134, lett. b), della direttiva.

E qui si apre un mondo, nel senso che in assenza di una definizione normativa del concetto di concorrenza, l’interpretazione di ogni situazione soggettiva finirebbe per dipendere dalla valutazione (per non dire dall’arbitrio) del verificatore e, a seguire, del giudice tributario, con le conseguenze in materia di certezza delle situazioni giuridiche che si possono bene immaginare.

Come già evidenziato nella N.L. 23/2020, quando un corso sportivo può dirsi operato in regime di concorrenza con un operatore commerciale? La concorrenza deve essere effettiva o può essere solo potenziale?

Una delle chiavi di lettura, evidentemente la più onerosa per i sodalizi sportivi, è che se lo stesso servizio (palestra, corso di ballo, corso di yoga, ma anche corso di pattinaggio, di calcio o di minibasket, e ancora possibilità di praticare tennis, equitazione, golf, nuoto) è offerto, effettivamente o potenzialmente, anche da soggetti diversi dalle a.s.d. o s.s.d., e il servizio offerto dal sodalizio sportivo è, per modalità organizzative e tariffe, in linea con queste, allora l’esenzione non si applica.

Ma, non esistendo alcuna “riserva a favore di asd o ssd” per l’attività sportiva, tale lettura svuoterebbe completamente di contenuto la disposizione in esame, perché in qualunque luogo e in qualunque momento può essere costituita una società, o anche venir avviata un’impresa individuale o un’attività di lavoro autonomo, per lo svolgimento di qualsiasi attività sportiva: se un allenatore di calcio o di nuoto organizza, non necessariamente in forma societaria, un corso di calcio o nuoto a pagamento, allora ogni asd o ssd che svolge la medesima attività è in concorrenza con lui!

Il che porta alla conclusione che una lettura razionale della norma non può essere quella appena ipotizzata.

Una diversa chiave di lettura richiede invece di individuare, caso per caso, se tale distorsione della concorrenza esista o meno in concreto.

Qualche esempio:

  • esiste una sola piscina, un solo campo da golf, un solo impianto per la pratica del tennis, gestito da una asd o ssd, in un determinato contesto territoriale: l’esenzione distorce la concorrenza?
  • esistono più impianti per la pratica di uno sport, e sono tutti gestiti da asd/ssd: c’è la distorsione della concorrenza?
  • una palestra gestita da una asd/ssd affiliata a una federazione sportiva nazionale, che rispetta la rigorosa normativa federale (regolamentazione dell’impianto, qualifiche degli istruttori, norme di comportamento, antidoping, certificazione medica, ecc.), non ha scopo di lucro, ha quote intrasmissibili, ecc., è “in concorrenza” con una gestita da una società commerciale, che non è soggetta a nessuna di tali regole?
  • una asd/ssd che ha in concessione un impianto pubblico e quindi sottostà a una serie di regole specificate nella relativa convenzione (obbligo di mettere gli spazi a disposizione di determinati soggetti in determinati orari e a tariffe imposte dall’ente pubblico, ecc.), è “in concorrenza” con un soggetto che opera al di fuori di tali regole e limitazioni?
  • una asd/ssd che tessera atleti di interesse nazionale o comunque agonisti di livello, per i quali sostiene spese spesso rilevanti senza percepire alcuna entrata, nel momento in cui organizza corsi per bimbi o ragazzi, è in concorrenza con una società commerciale che organizza esclusivamente tali corsi?

E si potrebbe continuare.
Senza contare il fatto che la situazione di fatto potrebbe variare nel corso del tempo (oggi la mia palestra è l’unica del circondario, ma tra due anni ne potrebbe aprire un’altra…).

Ma esiste a nostro avviso anche una diversa chiave di lettura, che ci pare da un lato coerente con il sistema normativo di riferimento, dall’altro di facile applicazione, basandosi non su valutazioni soggettive ma su elementi oggettivi stabiliti dalla legge; oltre che ragionevole e sostenibile per il sistema sport.

Il punto di partenza è l’art. 148 del T.U.I.R., che riconosce espressamente la qualifica di “non … commerciali” alle (sole) prestazioni effettuate a favore di “iscritti, associati o partecipanti… e tesserati”; l’attività nei loro confronti è quindi espressamente considerata come estranea al mercato e pertanto non in concorrenza, ci pare ragionevole ritenere, con chi invece in tale mercato opera liberamente.

Parimenti fuori del mercato, e quindi non in concorrenza con chi vi opera liberamente, sono poi a nostro avviso i sodalizi che utilizzano in convenzione impianti pubblici, in conseguenza delle particolari clausole contenute nelle convenzioni (limiti alle tariffe, obblighi nei confronti di determinati soggetti, contributi attivi o passivi, eccetera) poste a salvaguardia del bene comune.

Non possiamo ovviamente affermare con certezza che questa possa essere l’interpretazione corretta ma, come anticipato, ci pare la più coerente con il sistema normativo, meno foriera di contestazioni e contenziosi, e meno sconvolgente per il sistema, oltre che la più ragionevole.

Sempre sul tema della distorsione della concorrenza rimane poi un ulteriore problema: si tratta di una condizione soggettiva od oggettiva? In altre parole, un sodalizio che operi in parte “sul mercato” e in parte al di fuori di esso (in una delle accezioni ipotizzate qui sopra) mantiene o meno l’esenzione sulle operazioni effettuate “fuori mercato”?

Ancor più chiaramente: una palestra che svolga attività sia nei confronti di soci/tesserati che di terzi mantiene comunque l’esenzione sulle prestazioni ai soci o tesserati, o deve essere vista nel suo insieme e siccome si rivolge anche al mercato nel suo insieme lede la concorrenza?

La necessità di chiarire quantomeno alcuni punti di estrema importanza e pericolosità, sui quali ci siamo soffermati qui sopra, evidenzia come l’inserimento di una variazione di questa portata in un decreto che disciplina, per sua natura, situazioni di necessità ed urgenza, nel mentre è ancora in cantiere la riforma dello sport, e non è ancora completata la riforma del Terzo Settore, appare fuori luogo, o, quantomeno, intempestiva.

Si rende quindi necessaria o una revisione della novella che tenga conto delle osservazioni sopra evidenziate o quantomeno l’immediata emanazione (e per “immediata” intendiamo con un congruo anticipo rispetto all’entrata in vigore) di disposizioni regolamentari o di interpretazioni ufficiali che chiariscano le questioni pericolosamente controverse.

L’alternativa è il rischio è che tutte le attività sportive organizzate dai sodalizi (senza distinzione tra ASD e SSD) verso pagamento di corrispettivi specifici vengano attratte al regime di applicazione dell’IVA, a vantaggio dei pochi soggetti che svolgono attività sportiva in forma commerciale (multinazionali estere e poche realtà marginali) e soprattutto a svantaggio dei cittadini che praticano lo sport, che inevitabilmente, si troveranno a pagare il 22% in più per l’accesso all’attività sportiva, ovvero troveranno palestre, piscine e impianti sportivi semplicemente chiusi.

Il non profit “non sportivo”

L’impatto della riforma incide anche nell’ambito del non profit “non sportivo”.

A prescindere dal requisito della “non concorrenza”, per la quale, mutatis mutandis, valgono le medesime considerazioni (es. il baretto circolistico senza ingresso sulla pubblica via e riservato ai soci del circolo di bridge è in concorrenza con il bar commerciale che insiste sul corso cittadino?), nell’ambito delle associazioni diverse da quelle sportive, in base alla nuova disciplina sarebbero considerate in ogni caso soggette a IVA, ancorché in regime di esenzione:

  1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici.
  2. le cessioni di pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali.
  3. la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, dalle associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti riconosciuti dal ministero dell’interno (i c.d. “bar circolistici”);
  4. in particolare, le suddette somministrazioni, potrebbero beneficiare dell’esenzione solo qualora i beneficiari delle stesse fossero soggetti indigenti, senza che sia offerta alcuna definizione a tal fine, ovvero senza che sia fornita alcuna indicazione per individuare il requisito dell’indigenza (con il rischio che l’esenzione venga riconosciuta solo alle c.d. “mense per i poveri”).

La conseguenza del combinato disposto ai punti 3) e 4) è che, indipendentemente dal requisito della concorrenzialità, la somministrazione di alimenti e bevande operata dal bar circolistico, così come la sagra paesana organizzata dalla pro-loco o altre iniziative del genere ricadrebbero nell’ambito di applicazione dell’imposta.

Mentre per le attività quali il corso di danza (reso al di fuori dell’ambito sportivo), di teatro, di musica etc., si riproporranno le medesime considerazioni operate – in termini di concorrenza effettiva o potenziale – per i corsi sportivi.

Occorrerà approfondire, a questo punto, il rapporto con la riforma del Terzo Settore: tali attività, una volta che siano assoggettate a IVA, come andrebbero valutate in termini di commercialità delle attività di interesse generale?

Continuerebbe a valere ai fini delle imposte Dirette, qualora tali attività siano gestite da A.P.S., le ipotesi di de-commercializzazione previste dall’art. 85 del C.T.S?

Si ritiene di si, considerato che la novella opera ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Così come, come sopra argomentato, in relazione ai regimi forfettari previsti dagli artt. 80 e 86 del Codice del Terzo Settore occorrerà fare riferimento al concetto di “ricavi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali” come definiti ai fini delle Imposte Dirette, laddove la natura commerciale o meno delle attività è disciplinata, in linea generale, dall’art. 79 e, a livello speciale per le sole APS, dall’art. 85 del Codice.

A questo punto (ammesso e non concesso che la commissione UE esprima parere favorevole alla c.d. parte fiscale della riforma del Terzo Settore), le attività escluse da esenzione IVA per la generalità degli ETS (ad es. il bar, così come la corsistica relativa alle attività di Interesse Generale quali il corso di musica, teatro etc), potranno beneficiare, se gestiti da APS e ODV con ricavi da attività commerciali non superiori ad € 130.000,00, della non applicazione dell’IVA indipendentemente dai soggetti fruitori (soggetti indigenti) e dalle modalità di erogazione del servizio (in concorrenza o meno) andando a creare, paradossalmente, una sorta di “concorrenza interna” allo stesso Terzo Settore, tra soggetti piccoli (con ricavi inferiori a 130.000) e meno piccoli (con ricavi superiori)

Si tratta di una evidente distorsione del regime forfettario previsto dall’art. 85 (tanto che necessita di esplicita autorizzazione UE), che riproduce la stessa anomalia in termini di concorrenza del regime forfettario previsto in favore dei contribuenti con ricavi inferiori a € 65.000,00 dall’art. 1, commi da 58 a 63, della Legge 190/2014.

Conclusioni

Considerato tutto quanto sopra esposto e, soprattutto, la mole di dubbi che pone la riforma a livello applicativo, non stupisce che il mondo e le organizzazioni del Terzo Settore abbiano chiesto, all’unisono, lo stralcio della novella in oggetto dal decreto fiscale, mentre dal mondo sportivo le reazioni paiono forse meno eclatanti, e hanno ad oggetto, soprattutto, la problematica dell’impiantistica sportiva e delle società sportive di capitali.

Certamente, una maggiore concertazione con i soggetti interessati ed un migliore coordinamento con le riforme in corso di approvazione sarebbe stato auspicabile.

Assisteremo, come lo scorso anno, allo stralcio della norma? O, come per la riforma dello sport, a un differimento dell’entrata in vigore a … non si sa a quando?

Staremo a vedere.

In ogni caso, sarebbe opportuno che, anche qualora così fosse, non se ne torni a parlare il prossimo anno di questi tempi, ma si affronti un percorso collaborativo tra tutti i soggetti interessati.

[in collaborazione con il dott. Giuliano SINIBALDI]