Nella bozza della Legge di Bilancio, una rivoluzione IVA per i sodalizi sportivi

Se verranno confermate nel testo definitivo le modifiche agli artt. 4 e 10 del d.p.r. 633/72 previste dall’art. 103, cambierà radicalmente il trattamento dei corrispettivi specifici

Abitualmente non commentiamo le bozze dei provvedimenti, anche perché il testo definitivo ben potrebbe essere radicalmente diverso, ma in questo caso la novità è di particolare rilievo, le questioni che il testo attuale della Legge di Bilancio pone non sono poche, fra professionisti se ne sta già parlando molto: e ci è quindi parso opportuno far presente ai nostri lettori “cosa bolle in pentola”.

E per tale motivo abbiamo cercato di limitare al minimo i tecnicismi, sacrificando la precisione alla comprensibilità: abbiamo voluto solo segnalare cosa potrebbe cambiare, e che conseguenze ciò potrebbe avere.

A) La situazione attuale e i rilievi comunitari

Attualmente l’art. 4, IV comma, del d.p.r. 633/72, ai fini IVA (con un testo identico di quello dell’art. 148 del T.U.I.R. ai fini delle imposte dirette) stabilisce che per gli enti non commerciali:

a) “Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici
b) “ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche …
c) “anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e … fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale … e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali”.

È la c.d. “decommercializzazione dei corrispettivi specifici”, pagati da soci o tesserati per partecipare all’attività istituzionale dell’associazione, valida sia ai fini IVA che delle imposte dirette.

Sulla base della norma richiamata tali corrispettivi, essendo riferiti a operazioni non considerate commerciali, sono “fuori campo IVA”.

Si ricorda, per completezza di trattazione, che tale agevolazione è subordinata alla preventiva presentazione, da parte dell’Ente – e fatte salve alcune eccezioni – del c.d. “modello EAS”

Tale impostazione contrasta con la normativa comunitaria, atteso che l’art. 2 della sesta direttiva UE stabilisce che

Sono soggette all’IVA … le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo”.

È stata quindi aperta fin dal 2010, presso la Commissione Europea, una procedura di infrazione a carico dell’Italia, nella quale si rileva tale violazione, segnalando che le operazioni in questione non possono essere inquadrate come “fuori campo IVA”, bensì, a norma dell’art.132 di tale Direttiva, come operazioni esenti dall’imposta.

Come evidenziato in tale procedura di infrazione, ciò non comporta una variazione nel gettito, atteso che sia le operazioni fuori campo IVA che quelle esenti non scontano imposta e non consentono la detrazione dell’IVA sugli acquisti, ma la distinzione giuridica è notevole, e ha non trascurabili conseguenze anche sul piano pratico (di cui parleremo più avanti).

B) La bozza di art. 103 della Legge di Bilancio

L’ultima bozza in circolazione espone le seguenti modifiche al d.p.r. 633/72, delle quali analizzeremo le conseguenze:

– viene cancellata la seconda parte del IV comma dell’art. 4, sostanzialmente quanto riportato ai punti “b” e “c” del capitolo precedente, oltre ai commi a essa in qualche modo collegati: i corrispettivi delle prestazioni di servizi a soci e tesserati non sarebbero più considerati fuori campo IVA.

– vengono aggiunti due commi all’art. 10, stabilendo, con terminologia pressoché identica a quella attualmente nell’art. 4, che

L’esenzione dall’imposta si applica inoltre alle seguenti operazioni, a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA:
1) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ad esse strettamente connesse effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali … Nei confronti di soci, associati o partecipanti …;
2) le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche… alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica… 

Sostanzialmente viene recepito quanto evidenziato nella procedura di infrazione, ovvero che le prestazioni degli enti non commerciali non sono più fuori campo IVA ma esenti, introducendo l’ulteriore requisito che tale esenzione operi “a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza” e allargando il potenziale campo di applicazione della norma alla generalità delle “persone che esercitano lo sport…”

C) Le conseguenze e le perplessità

Dall’art. 103 così costruito derivano alcune conseguenze non da poco, che ci pare opportuno segnalare.

c/1 – Qualsiasi Associazione che effettui prestazioni a pagamento deve aprire la partita IVA

L’ “ingresso” di tali prestazioni nel campo IVA, ancorché esenti, significa che tutte le associazioni che effettuano prestazioni a pagamento, anche se solo nei confronti di soci o tesserati (come, ad es., l’incasso delle “rette” o degli abbonamenti mensili per la fruizione dei corsi sportivi), che attualmente operano fuori campo IVA e quindi possono non richiedere una partita IVA, dopo la variazione rientrerebbero nel campo di applicazione dell’IVA, da cui l’obbligo di aprire una partita IVA, e quindi:

– rispettare gli adempimenti connessi;

– assoggettare a IVA eventuali prestazioni occasionali non sportive.

Sorge qualche problema burocratico/amministrativo per gli enti in questione, ma non si tratta di problemi insormontabili:

in particolare, l’apertura della Partita IVA comporterà l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei Redditi e, qualora non si operasse l’opzione per la L. 398/1991, anche l’obbligo di presentazione della dichiarazione IVA, nonché la necessità di rispettare gli ulteriori adempimenti connessi al possesso della P.IVA.

c/2 – Il “doppio binario” tra comparto IVA e comparto Imposte Dirette

Attualmente, ai fini della de-commercializzazione, il trattamento ai fini IVA e ai fini II.DD. è analogo, in quanto le disposizioni di riferimento sono sostanzialmente “gemelle”

Con l’approvazione della legge di bilancio tale analogia verrebbe meno, in quanto l’eventuale variazione di impostazione interesserebbe solo il “comparto IVA”, mentre ai fini delle Imposte Dirette rimarrebbe invariata la “vecchia” impostazione di de-commercializzazione prevista dall’art. 148 del T.U.I.R., che però risulta a sua volta aver subito variazioni a seguito della riforma del Terzo Settore, sicché ci troveremmo di fronte a un doppio binario in quanto i corrispettivi specifici incassati dagli enti associativi:

  • Risulterebbero di natura commerciale ai fini IVA, ma rimarrebbero de-commercializzati ai fini delle imposte dirette per le a.s.d. e s.s.d., nonché per le altre associazioni ma, per esse, solo fino all’entrata in vigore della riforma fiscale del Terzo Settore (presumibilmente dal 01/01/2022),
  • Risulterebbero di natura commerciale sia ai fini IVA che ai fini II.DD. per le associazioni diverse dalle a.s.d. a decorrere dall’entrata in vigore della riforma fiscale del Terzo Settore, con tutte le conseguenze del caso, anche in relazione alla possibilità di mantenere la qualifica di ENC.

c/3 – l’esenzione vale anche pe i servizi offerti a soggetti “non soci/non tesserati”

La nuova versione dell’agevolazione, oltre a “spostare” i corrispettivi in questione dal “fuori campo IVA” all’ “esente” apporta anche un’altra rilevante modifica (sempre in linee con la Direttiva comunitaria): pur con una dizione molto confusa (un copia-e-incolla abbastanza maldestro, che riteniamo verrà rivisto nel testo definitivo) l’esenzione non spetterà più solo se la prestazione è a favore di “soci, associati o partecipanti”, ma genericamente di “persone”, con un evidente e ampio allargamento.

Tale impostazione, in linea con la direttiva UE, risolverebbe non pochi problemi di natura amministrativa e gestionale per i sodalizi sportivi (non più domande di nuovi soci o richieste di tesseramento da gestire “in tempo reale”), anche se, per la problematica del doppio binario di cui sopra, i corrispettivi incassati da “non soci o tesserati” rimarrebbero imponibili ai fini delle II.DD.

c/4 – Cosa si intende per “ricavi commerciali” ai fini del limite per la Legge 398?

Non è chiaro se i corrispettivi in questione, che per le sportive diventerebbero commerciali (ancorché esenti) ai fini IVA e rimarrebbero non commerciali ai fini delle imposte dirette, entreranno nel calcolo dei ricavi per valutare il supero o meno dei 400.000 euro, limite per potersi avvalere della disciplina di cui alla Legge 398/91, limite che include nel calcolo i proventi di attività commerciali.

Qui il problema è decisamente più serio, perché 400.000 euro di ricavi commerciali esclusi i corrispettivi specifici individuano di norma una struttura abbastanza consistente, mentre 400.000 euro di corrispettivi specifici sono una soglia nettamente più bassa.

Il dubbio – senza entrare troppo nei tecnicismi – è relativo al fatto che l’art. 9 del DM 544/1999 prevede che i soggetti che optano per la L. 398/1991 “devono …..annotare ….l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguiti nell’esercizio di attività commerciali…” nel registro di cui al DM 11/02/1997 (il registro semplificato utilizzato dai soggetti in 398): ora, fino a quando la non commercialità delle attività viaggiava sullo stesso binario, sia ai fini IVA che ai fini II.DD., non vi erano problemi, ma dal momento in cui dovesse operare il doppio binario, è necessario chiarire se occorra fare riferimento al comparto IVA o a quello delle II.DD.

Se i corrispettivi in questione dovessero rientrare nel calcolo, si creerà un notevole aumento del lavoro amministrativo per moltissimi sodalizi, e, soprattutto, diversi sodalizi con volumi d’affari “al limite del plafond” correrebbero il rischio di sforarlo.

Ricordiamo peraltro, per completezza, che a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del Terzo Settore, la L. 398/1991 risulterà applicabile, con un “ritorno al passato” solo per le a.s.d. e s.s.d. mentre non lo sarà più per gli enti diversi da quelli sportivi dilettantistici.

c/5 – Come si valuta la distorsione della concorrenza?

Ci preoccupa enormemente invece il requisito – che la Direttiva Europea non impone ma lascia alla libera decisione degli Stati membri – di “non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA”, sia perché secondo una chiave di lettura rigorosa rischierebbero di rimanere fuori dall’esenzione la stragrande maggioranza dei sodalizi sportivi, con particolare riferimento a quelli che gestiscono palestre ed impianti sportivi in genere, sia, ancor più, perché esistono diverse chiavi di lettura, e di più possibili interpretazioni non sentiamo proprio il bisogno.

La chiave di lettura rigorosa è che se lo stesso servizio (palestra, corso di ballo, corso di yoga, ma anche corso di pattinaggio, di calcio o di minibasket, e ancora possibilità di praticare tennis, equitazione, golf, nuoto) è offerto, effettivamente o potenzialmente, anche da soggetti diversi dalle a.s.d. o s.s.d., allora l’esenzione non si applica.

Una chiave di lettura diversa richiede invece di individuare, caso per caso, se tale distorsione della concorrenza esista o meno in concreto.

Qualche esempio:

– esiste una sola piscina, un solo campo da golf, un solo impianto per la pratica del tennis, gestito da una a.s.d. o s.s.d., in un determinato contesto territoriale: l’esenzione distorce la concorrenza?

– esistono più impianti per la pratica di uno sport, e sono tutti gestiti da a.s.d./s.s.d.: c’è la distorsione della concorrenza?

– una palestra gestita da una a.s.d./s.s.d. affiliata a una federazione sportiva nazionale, che rispetta la rigorosa normativa federale (regolamentazione dell’impianto, qualifiche degli istruttori, norme di comportamento, antidoping, certificazione medica, ecc.), non ha scopo di lucro, ha quote intrasmissibili, ecc., è “in concorrenza” con una gestita da una società commerciale, che non è soggetta a tutte quelle regole?

– una a.s.d./s.s.d. che ha in concessione un impianto pubblico e quindi sottostà a una serie di regole specificate nella relativa convenzione (obbligo di mettere gli spazi a disposizione di determinati soggetti in determinati orari e a tariffe imposte dall’ente pubblico, ecc.), è “in concorrenza” con un soggetto che opera al di fuori di tali regole e limitazioni?

– una a.s.d./s.s.d. che tessera atleti di interesse nazionale o comunque agonisti di livello, per i quali sostiene spese spesso rilevanti senza percepire alcuna entrata, nel momento in cui organizza corsi per bimbi o ragazzi, è in concorrenza con una società commerciale che organizza esclusivamente tali corsi?

Non sappiamo se ci spaventa di più la prima interpretazione, che porterebbe a lasciare lo sport nelle mani solo di soggetti “commerciali”, dato che non sarebbe sostenibile sottostare alle regole CONI/FSA/DSA/EPS, e ai relativi oneri, senza alcuna contropartita sotto il profilo amministrativo/fiscale (senza contare l’incremento “secco” del 22% dei costi per chi paga per praticare attività sportiva, in primis i genitori per i figli).

O ci spaventa più discutere verificatore per verificatore, commissione tributaria per commissione tributaria, e (egoisticamente) cliente per cliente, se tale violazione della concorrenza si configuri o meno.

Ci auguriamo che tale requisito (non richiesto dalla normativa comunitaria, che lo prevede solo come possibile opzione da parte dello Stato membro) venga espunto, perché le conseguenze sarebbero in ogni caso estremamente serie.

Senza considerare che i soggetti che svolgono attività sportive in forma commerciale sono o multinazionali straniere o realtà decisamente marginali: non le vediamo in cima alla lista dei soggetti da tutelare costi quel che costi (e qui i costi sarebbero decisamente elevati).

c/6 – E le società sportive dilettantistiche…?

Tutti conosciamo l’art. 90, I comma, della Legge 289/2002, che recita

le … disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro

Ciò vale, fra l’altro, per quanto riguarda i corrispettivi specifici incassati dalle s.s.d. a fronte di prestazioni (sportive) operate nei confronti dei tesserati. Sul punto anche l’Agenzia delle Entrate non ha mai manifestato alcun dubbio, né ai fini delle imposte dirette (da ultimo, chiaramente ed esplicitamente, nella Circolare 18/2018), né ai fini IVA (fra la altre Risoluzione D.R.E. Liguria n. 903-9486/2008, risposta ad interpello D.R.E. Lombardia n. 77605/2010, D.R.E. A.d.E. 21/2003 e altre, oltre che in diciotto anni di verifiche fiscali).

Ultimamente sono però circolati rumors, nelle pubblicazioni specializzate e “nei corridoi del Palazzo”, circa un possibile cambiamento di posizione dell’Agenzia, nel senso di ritenere il richiamo operato dall’art. 90 non valido ai fini IVA.

Tale (supposta) pretesa è tanto poco fondata giuridicamente (anche alla luce della normativa comunitaria) quanto evidentemente di estrema rilevanza per le s.s.d.; per tale motivo, pur in assenza di qualunque elemento di novità sia in prassi che in giurisprudenza, abbiamo dedicato a essa un’ampia monografia: Il trattamento dell’IVA (monografia n.1/2020 del 23 gennaio 2020).

La modifica di cui stiamo trattando sarebbe stata l’occasione per mettere a tacere tali rumors: sarebbe stato sufficiente utilizzare esattamente la dizione della normativa comunitaria, che all’art. 132 parla di “organismi senza fini di lucro”; e invece il comma 3 che verrebbe aggiunto all’art. 1° ripropone pedissequamente il testo del previgente art. 4, che usa (inevitabilmente, dato che quando venne scritto le s.s.d. non esistevano …) il termine “associazioni”.

A questo punto si configurano due scenari:

a) o la scelta del termine “associazioni” è un banale copia-e-incolla del testo precedente, e in virtù del già citato art. 90 della legge 289/2002 la disposizione si applica anche alle s.s.d.: nulla cambia, su questo fronte, rispetto al passato

b) oppure vi è una effettiva volontà di escludere le s.s.d. dall’agevolazione, in violazione non solo dell’art. 90 ma della stessa normativa comunitaria che non ammette tale differente trattamento.

Se si verificasse il secondo scenario, al di là della violazione dell’art. 90, della creazione (in questo caso sì, ed estremamente grave) di un clamoroso vantaggio concorrenziale a favore delle a.s.d. e a discapito delle s.s.d., di un “cambio di rotta” senza alcun evento che lo giustifichi, ci parrebbe sinceramente grottesco, che una disposizione dichiaratamente emanata a seguito di una procedura di infrazione comunitaria, ne generasse immediatamente e inevitabilmente un’altra!

[In collaborazione con il dott. Giuliano Sinibaldi – pubblicato su Fiscosport.it]