Legge 398 solo per le attività connesse: e se ci fossimo preoccupati per (quasi) nulla?

Il punto 6.2 della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/2018 affronta una questione che ha preoccupato non poco tutti i commentatori; e se invece fosse stata semplicemente letta “dalla parte sbagliata” e proponesse piuttosto, pur con un paio di “disattenzioni”, principi condivisibili?

Premessa

Nella Guida “Associazioni Sportive Dilettantistiche: come fare per non sbagliare”, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale del Piemonte, Edizione speciale per Torino Capitale Europea dello Sport 2015, è stata data enfasi per la prima volta (dopo più di 15 anni dall’emanazione dell’ultima delle norme a cui si riferisce) alla distinzione fra attività connesse e non connesse agli scopi istituzionali, stabilendo che il regime di cui alla Legge 398/91 si applica alle prime ma non alle seconde.


Questa presa di posizione, assolutamente isolata sia in prassi che in dottrina, ha, per usare un gergo sportivo, “colto in contropiede” i commentatori, e noi per primi ne abbiamo enfatizzato l’incoerenza con la normativa, e i perversi effetti di una sua applicazione indiscriminata (vedi articolo di Giuliano Sinibaldi, Le attività commerciali connesse: davvero la legge 398/1991 non si applica a tutte le attività commerciali?, in Newsletter Fiscosport n. 9/2017).

A tre anni da quella Guida, e dopo che la questione delle attività connesse o meno anche dopo di essa non ci risulta sia mai stata sollevata in sede di verifica, la medesima distinzione viene riproposta con grande rilievo in ben cinque pagine della recentissima Circolare 18 del 1 agosto 2018 (la si veda nel Flash redazionale del 1 agosto 2018, Pubblicata la tanto attesa Circolare dell’Agenzia delle Entrate in materia di questioni fiscali di interesse delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche).

La prima tentazione è quella di riprendere quanto scritto allora, ribadendo le critiche feroci e sottolineandone ancora una volta le nefaste conseguenze.

Ma se invece quanto scritto nella Circolare n. 18 fosse proprio la risposta alla richiesta di chiarimenti che auspicavamo al termine dell’articolo citato e, pur se in modo non proprio chiarissimo e con un paio di “scivoloni”, lo scopo fosse proprio di “disinnescare” la possibilità di tali nefaste conseguenze, trasformando quella che pareva essere un ingiustificato restringimento dell’area applicativa del “Regime 398” in una impostazione sostanzialmente antielusiva?

Pur precisando fin da subito che non possiamo essere certi di questa nostra interpretazione, proponiamo quindi una lettura in positivo di questo passo della Circolare che, ci piace sottolinearlo, affronta svariati argomenti e quasi sempre con ragionevolezza e mirando effettivamente più a chiarire questioni controverse che a raccattare gettito.

E riteniamo che questa impostazione di effettiva, e non solo proclamata, compliance, possa giustificare una lettura di questo delicato passaggio appunto orientata a risolvere problemi, invece che farne sorgere.

1.  Il riferimento alla connessione? L’esplicitazione di un (corretto) principio antielusivo – Prima parte

Subito all’inizio della risposta 6.2 troviamo il riferimento all’art. 9, comma 1, del D.P.R. 544/99, primo e unico a utilizzare il termine “connesse” e iniziamo subito la lettura “in positivo” dando a tale precisazione l’unico significato giuridicamente accettabile, ovvero non una limitazione del campo di applicazione della Legge 398, che un D.P.R. regolamentare non può certo dare, ma una precisazione: l’agevolazione spetta se l’attività commerciale esercitata non è talmente importante e lontana dall’attività sportiva da dover essere considerata a essa completamente estranea.

In questo senso possiamo leggere il secondo periodo del punto che stiamo esaminando della Circolare, nel quale si esclude la possibilità di fruire del “regime 398” per “un’attività commerciale autonoma e distinta da quella istituzionale”, mentre “rientrano fra le attività connesse” quelle ‘strutturalmente funzionali all’attività sportiva’ … quali, a titolo esemplificativo, … i proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie”.

Rispetto alla Guida della D.R.E. Piemonte scompare ogni riferimento alle manifestazioni sportive rimanendo solamente il legame con lo svolgimento dell’attività sportiva.

2.   Due categorie di attività, istituzionali e commerciali? No, tre, anzi quattro.

Partiamo dalla Circolare 124/98, che al punto 5.2.2. recita quanto segue:

Le attività ammesse al regime di favore secondo la disposizione del novellato comma 3 dell’art. 111 del T.U.I.R. devono essere svolte ‘in diretta attuazione degli scopi istituzionali … Si vuole … precisare che l’attività svolta ‘in diretta attuazione degli scopi istituzionali’ non è quella genericamente rientrante fra le finalità istituzionali dell’ente, in quanto il legislatore subordina l’applicazione del regime di favore alla circostanza che l’anzidetta attività costituisca il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano ciascun ente associativo

In sostanza, e correttamente, la Circolare precisa che è “attività in diretta attuazione degli scopi istituzionali” (che fruisce della decommercializzazione ex art. 148, III comma, T.U.I.R. se svolta nei confronti di soci o tesserati e se sono rispettati i requisiti del comma 8) non solo quella che costituisce lo “scopo specifico” dell’associazione, ma anche quella che ne “costituisca il naturale completamento”, quindi non solo la gara, l’allenamento o il corso, ma anche (per citare una fattispecie menzionata proprio dalla Circolare 18/2018) l’uso dello spogliatoio, della doccia e dell’armadietto.

Il concetto è esplicitamente ripreso dalla Risoluzione 38/2010, risposta al Quesito 3, che recita: “Le prestazioni relative al bagno turco e all’idromassaggio non rientrano, quindi, nell’ambito applicativo del richiamato articolo 148, comma 3, del TUIR, in quanto dette prestazioni non si pongono direttamente come naturale completamento dell’attività sportiva, potendo le stesse essere rese anche separatamente e indipendentemente dall’esercizio di detta attività”.

Erano state quindi individuate tre categorie di attività:

a) attuazione dello scopo specifico dell’associazione: gare, allenamenti, corsi

b) naturale completamento di tale attività: viaggi per andare alla gare, utilizzo degli spogliatoi, ecc.

c) attività commerciali.

Le attività “a” e “b” rientrano nel terzo comma dell’art. 148 e possono quindi essere decommercializzate se ne ricorrono i presupposti, le attività “c” (fra le quali il thermarium) saranno sempre commerciali.

Ora la Circolare 18 suddivide le attività commerciali in:

c1) connesse e

c2) non connesse.

E stabilisce che per le attività “a” e “b” svolte nei confronti di terzi e per l’attività “c1”  si può usufruire del Regime 398, per l’attività “c2” no.

3) La prima disattenzione: un po’ di confusione nell’utilizzo dei termini

Tutto quanto qui sopra esposto ci pare decisamente chiaro, ma in un paio di passaggi l’Agenzia fa purtroppo confusione fra “naturale completamento dell’attività sportiva” e “attività commerciale connessa” (categorie “b” e “c1”).

La fa quando richiama il passaggio della Risoluzione 38 qui sopra riportato, perché ne offre una lettura come se essa avesse escluso sauna e idromassaggio dalla categoria “attività commerciale connessa” (categoria “c1”) per collocarle nella “attività commerciale non connessa” (categoria “c2”), mentre la Risoluzione citata afferma che esse non costituiscono “naturale completamento dell’attività sportiva” (sono quindi escluse dalla categoria “b” e sono commerciali anche se svolte nei confronti di soci o tesserati) bensì sono attività commerciale (categoria “c”: la distinzione fra “c1” e “c2” in tale Risoluzione, e nella prassi dell’Agenzia del 1991 al 2018, semplicemente non compare).

E la fa nuovamente quando alla fine delle cinque pagine dedicate all’argomento finalmente risponde alla domanda 6.2 affrontando la questione dell’ “utilizzo dei campi da gioco, degli spogliatoi, degli armadietti e di altre strutture/beni dell’ente sportivo dilettantistico non lucrativo”.

Afferma infatti che “detti servizi possono considerarsi rientranti tra le attività connesse con gli scopi istituzionali” (si sarebbe quindi nella categoria “c1”, attività commerciali connesse agli scopi istituzionali”) ma è evidente che intende qualificarli “naturale completamento” (categoria “b”) perché conclude affermando che “gli stessi servizi, qualora resi, alle predette condizioni, in favore degli associati o degli altri soggetti espressamente indicati dall’articolo 148, comma 3, del TUIR, potranno essere ricompresi nella previsione di decommercializzazione ai fini IRES”.

E’ quindi evidente che tali attività (importante è la specifica indicazione dell’utilizzo dei campi da gioco, sul quale qualche dubbio era stato sollevato) sono da considerare “naturale completamento” dell’attività sportiva (categoria “b” del precedente paragrafo 2) e quindi:

– decommercializzate se svolte nei confronti dei soci o tesserati

– commerciali in 398 se svolte nei confronti di terzi.

Insomma, un po’ di confusione derivante dall’utilizzo del medesimo termine con significati diversi ma, come abbiamo detto fin dall’inizio, con un approccio sereno e costruttivo la posizione dell’Agenzia appare chiara e ragionevole.

Ovviamente, è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate tenga sempre presente che la fondamentale differenza lessicale tra “naturale completamento dell’attività sportiva” e “attività commerciale connessa” ha implicazioni fiscali così importanti che tali locuzioni debbono essere utilizzate con la massima attenzione, per non ingenerare confusione in chi su tali termini deve costruire la propria attività, in primo luogo proprio fra i suoi funzionari.

4) Il riferimento alla connessione? L’esplicitazione di un (corretto) principio antielusivo – Seconda parte

Abbiamo già detto alla fine del precedente punto 1 che viene subito abbandonato ogni riferimento alla “manifestazione”.

Ciò viene ribadito con chiarezza all’inizio di pag. 38 della Circolare, pagina che per una migliore comprensione leggiamo partendo dalla fine: “Non rientrano … tra le attività connesse con gli scopi istituzionali [saranno quindi nella categoria “c2” e non nella categoria “c1”, per ricordare sempre l’inquadramento dato qui sopra], quelle svolte con l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato. In sostanza, non potranno essere considerate attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali quelle dirette alla vendita di beni o alla prestazione di servizi per le quali l’ente si avvalga di strumenti pubblicitari o comunque di diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati, ovvero utilizzi altri strumenti propri degli operatori di mercato come, ad esempio, insegne, marchi distintivi, o locali attrezzati secondo gli standard concorrenziali di mercato, al fine di acquisire una clientela estranea all’ambito associativo”.

Tale affermazione ci pare coerente con i “principi antielusivi” che abbiamo detto essere alla base della Circolare; abbandoniamo una lettura rigorosa e “ostile” della Circolare e immaginiamo casi pratici: quale associazione sportiva dilettantistica “vera” gestisce un’attività commerciale per la quale si avvale di strumenti pubblicitari (il testo ci pare chiaro: non messaggi pubblicitari dell’attività sportiva ma messaggi pubblicitari di quella specifica attività commerciale), utilizza marchi e insegne (sempre dell’attività commerciale) ovvero “locali specificatamente attrezzati secondo gli standard concorrenziali di mercato” (vetrine, ambiente accattivante, musica, ecc.) per attirare clienti non soci?

La finalità antielusiva è ancor più chiara proseguendo a inizio di pag. 39, nella quale si afferma non spettare il regime 398 per “le attività svolte da ristoranti in quanto estranee rispetto alla connessione con gli scopi istituzionali … ed atteso che dette attività presuppongono l’adozione di forme organizzative tali da creare una concorrenza con gli altri operatori di mercato”.

Leggiamo tale periodo in connessione con il già citato passaggio che considera derivanti da attività connesse i “proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica … o dalle cene sociali”, come si coordinano tali affermazioni? Semplicemente, ancora, in chiave antielusiva: l’attività svolta nei locali annessi all’impianto sportivo, nei quali si somministrano pasti prevalentemente ai soci, si tengono le cene sociali, non c’è una specifica organizzazione imprenditoriale, potranno fruire del regime 398.

Il vero e proprio ristorante, strutturato e aperto anche a non soci, diviene un abuso di tale agevolazione e crea turbativa nel mercato, mentre, come ribadisce proseguendo la Circolare, rientrano fra le attività connesse e quindi esercitabili in regime 398:

– “la mera somministrazione di alimenti e bevande ovvero la vendita di materiale sportivo strettamente funzionali alla pratica delle discipline per le quali l’ente è iscritto nel Registro del CONI” (se nel negozio di una società di calcio vendo sci, sto facendo concorrenza ai negozianti)

– “qualora la connessione con gli scopi istituzionali dell’associazione o società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro risulti assicurata dalla circostanza che dette attività siano svolte all’interno della struttura dove si svolge l’attività sportiva (e non in spazi o locali distanti da essa)” se il negozio o il ristorante sono altrove, rispetto alla sede dell’associazione e al luogo di svolgimento della sua attività, l’intento abusivo potrebbe effettivamente essere presente

– “senza l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato nel senso sopra chiarito

– e, ancora, “al fine di garantire che dette attività siano, di fatto, prevalentemente destinate agli associati o ai tesserati praticanti l’attività sportiva”, e ci piace sottolineare l’apertura ai tesserati praticanti, che ci pare sia una manifestazione di disponibilità da non trascurare.

5) E il secondo “scivolone”: le attività non rientranti nella “lista CONI”

Dopo aver così inquadrato la questione, risaliamo all’inizio di pag. 38, per parlare di quello che a nostro avviso è il secondo “scivolone” della Circolare, leggiamo infatti che “non sono ricompresi tra le attività connesse agli scopi istituzionali i corsi per attività sportive che non rientrano nell’ambito delle discipline sportive riconosciute dal CONI”. Ma come, la somministrazione di alimenti e bevande si, e il krav maga no?

Sia la Delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1569 del 10/5/2017, che la precedente n. 1568 del 14/2/2017 parlano testualmente di “elenco delle discipline sportive ammissibili per l’iscrizione al Registro delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche” e non di “elenco delle discipline sportive” tout court. Anzi, proprio la precisazione che l’elenco è stilato per circoscrivere le attività iscrivibili nel Registro significa che al di fuori di tale “recinto”, ma sempre all’interno del mondo dello sport, vi sia altro.

Ciò significa a nostro avviso che, fino all’entrata in vigore della Riforma del Terzo Settore che com’è noto riscriverà fra l’altro proprio il terzo comma dell’art. 148 T.U.I.R., se una associazione ha nel proprio scopo associativo la pratica, oltre ad attività comprese nell’elenco CONI, anche di altre attività sportive, lo svolgimento di queste ultime viene comunque effettuato “in diretta attuazione degli scopi istituzionali” e non vediamo in base a quale principio, se effettuato nei confronti di soci o tesserati, non debba fruire della decommercializzazione ex art. 148, III comma, T.U.I.R.

Secondo una interpretazione ragionevole di questa norma, gli istruttori di tale attività non potranno ricevere i c.d. “compensi sportivi” ex art. 67, I comma, lettera “m”, del T.U.I.R., ma la decommercizzazione ci pare fuor di dubbio.

E ci permettiamo di ipotizzare anche un possibile motivo di questa presa di posizione assai rigida e a nostro parere poco giustificata: la Circolare è presentata come raccolta delle questioni “emerse nell’ambito del Tavolo tecnico tra l’Agenzia delle entrate ed il Comitato Olimpico Nazionale Italiano”; ora, non sappiamo quanto ci sia di CONI dietro questa affermazione, ma ben sappiamo la lotta furibonda che si sta svolgendo attorno al registro delle discipline sportive, e temiamo che questo passaggio della Circolare possa in qualche modo averne risentito.

6.  Conclusioni giuridiche

Pur se con qualche “sbavatura” e la descritta confusione fra “naturale completamento” e “attività commerciale connessa”, se letta “con spirito positivo” la Circolare parrebbe avere una chiara e comprensibile finalità antielusiva.

Come con l’elusione è il contribuente che “tira troppo la corda”, la norma antielusiva può dare all’Ufficio la possibilità di “tirare troppo la corda” a sua volta, ed è quindi possibile che, facendo leva sulla distinzione fra attività connesse e non, in sede di verifica ci sia chi cercherà irregolarità dove irregolarità non vi sono.

Ma se vogliamo un atteggiamento collaborativo da parte dell’Agenzia, non possiamo sempre partire con la corazza …

7.  Conclusioni operative

E un’associazione (o società) che svolga effettivamente una attività commerciale non connessa? Un ristorante strutturato, un negozio attrezzato?

Seguendo quanto scrive la Circolare, lo svolgimento diretto come associazione o società sportiva comporta a nostro avviso problematiche decisamente complesse, con la tenuta di una tripla contabilità, la difficile ripartizione dei costi promiscui, la presentazione di una dichiarazione IVA relativa solo a una parte dell’attività commerciale, ecc. (problematiche di cui si sta occupando Patrizia Sideri, per un articolo che uscirà nella prossima newsletter).

Probabilmente la soluzione migliore sarà quella che già viene seguita nella stragrande maggioranza dei casi: affitto di ramo d’azienda o locazione degli spazi. Certamente, una attenta riflessione è d’obbligo.

8.   … e se ci fossimo illusi?

E se invece la volontà dell’Agenzia fosse quella che era apparsa a una prima lettura, ovvero quella di far leva sull’art. 9, I comma, del D.P.R. 544/99 e quindi sottrarre al regime 398 una larga fetta delle attività commerciali?

Tre ci paiono le soluzioni:

a) “scorporare” le attività commerciali dandole in gestione a società estranee all’associazione, che opereranno come normali società commerciali (società che potranno essere costituite anche dagli stessi soci o da una parte di essi, facendo attenzione a non prestare il fianco a contestazioni di distribuzione indiretta di utili)

b) gestire tre contabilità parallele e la complessità degli adempimenti che ne derivano

c) proseguire serenamente come adesso, dato che:

– disconoscendo il regime 398 in un ristorante (che ha IVA in entrata al 10% e in uscita al 22%) o un negozio (che ha gran parte delle spese, l’acquisto delle merci, con IVA) è probabile che con il regime ordinario il versamento del 50% dell’IVA sulle vendite sia addirittura eccessivo

– il problema si ridurrebbe praticamente alle sole sanzioni, ma con una norma vecchia di 27 anni della quale si cambia l’interpretazione con una Circolare, il principio della di tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente” ex art. 10, L. 27/07/2000 (statuto dei diritti del contribuente) ci pare invocabile con non trascurabili probabilità di successo

– insomma, ci sta che andando in contenzioso, come dicono alcuni colleghi “ci si possa anche divertire”

[Articolo pubblicato su Fiscosport.it]