Il bridge è uno sport? Per la Corte di Giustizia UE no, ma ….

La notizia ha avuto grande risalto nell’ambiente sportivo ma, leggendo i documenti con attenzione, la questione è molto più sfumata di quanto appaia. Le implicazioni sono serie, e abbiamo l’impressione che la questione non finisca qui.

1.  I termini della questione sottoposta alla Corte di Giustizia

La questione è nota e, apparentemente, semplice.

La English Bridge Union Limited (da qui in avanti, EBU), oltre a essere incaricata della regolamentazione e sviluppo del bridge in Inghilterra, organizza tornei di bridge duplicato; per la partecipazione ai tornei essa richiede una quota di iscrizione, che è stata assoggettata a IVA, regolarmente versata. Successivamente, l’EBU ha poi chiesto il rimborso di tale IVA, sostenendo che dette quote dovessero essere esenti in virtù dell’art. 132, paragrafo 1, lettera m) della Direttiva 2006/112 (che regolamenta l’IVA in ambito comunitario).

La norma qui sopra citata è contenuta nel capo 2 della Direttiva del titolo IX, intitolato «Esenzioni a favore di alcune attività di interesse pubblico», e dispone che gli Stati membri esentino:

“  … 
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica;
n)  talune prestazioni di servizi culturali e le cessioni di beni loro strettamente connesse effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro interessato

L’amministrazione tributaria inglese ha respinto la richiesta di rimborso, il tribunale tributario di primo grado ha confermato il rigetto della domanda di rimborso, e l’EBU è ricorsa in appello avanti l’Upper Tribunal sostenendo “che uno «sport» ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2006/112 non deve necessariamente avere una rilevante componente di attività fisica, dal momento che la finalità perseguita da tale disposizione è quella di favorire le attività che arrecano beneficio alla salute fisica o mentale di coloro che le praticano regolarmente e che l’attività intellettuale è importante tanto quanto l’attività fisica”.

Avanti il medesimo Tribunale l’amministrazione tributaria ha per contro sostenuto che la disposizione citata, in base alla quale sono esentate talune prestazioni di servizi «strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica», implicano che uno «sport» ai sensi di detta disposizione debba avere una rilevante componente fisica.

Sempre l’amministrazione tributaria ha poi sostenuto che l’interpretazione sostenuta dall’EBU sarebbe contraria al principio di interpretazione restrittiva delle esenzioni previste dall’art. 132 lett. m.

A questo punto l’Upper Tribunal, dopo aver riconosciuto “che il bridge duplicato richiede competenze intellettuali elevate … e che la sua pratica regolare favorirebbe la salute sia mentale che fisica” si è chiesto se gli sport cosiddetti «mentali», come questo, rientrino nella nozione di «sport», ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), e “Ritenendo che a detto termine si debba attribuire un significato autonomo e un’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri” ha sospeso il procedimento e chiesto alla Corte di Giustizia UE di stabilire:

«quali caratteristiche essenziali debba presentare un’attività per poter essere qualificata come “sport” ai sensi dell’ art. 132 lett. m. In particolare, se un’attività debba avere una rilevante (o non irrilevante) componente fisica decisiva … o se sia sufficiente che essa abbia una componente mentale significativa

2.   Un chiarimento: cos’è il bridge duplicato?

Ci pare utile chiarire che cosa sia il bridge duplicato.

E’ la variante più comune del bridge, usata principalmente nelle competizioni; si chiama duplicato perché la stessa mano (vale a dire la stessa distribuzione di carte) viene duplicata in tutti i tavoli della sala: i giocatori si trovano quindi a giocare in concorrenza con altri che hanno le stesse identiche carte.

Ciò significa che viene quasi completamente esclusa l’incidenza della fortuna, e ciò costituisce un elemento importante che lo differenzia da tutti gli altri giochi di carte, e dà grande forza all’affermazione che non si tratti di un gioco legato alla sorte ma di uno “sport mentale”, come p.es. gli scacchi.

3.  Le conclusioni dell’Avvocato Generale

Il rito avanti la Corte di Giustizia della Comunità Europea prevede il parere di un Avvocato generale, che nel caso in esame era il polacco Maciej Szpunar, il quale nella sue Conclusioni compie un percorso argomentativo come sempre ampio e ampiamente documentato.

In primo luogo sottolinea “che la nozione di «sport» di cui all’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA deve essere interpretata in senso restrittivo, pur tenendo a mente la finalità e l’oggetto dell’esenzione”, rileva che “La direttiva 2006/112 non contiene una definizione del termine «sport». Non esiste nemmeno una definizione onnicomprensiva di «sport» a livello di Unione applicabile all’interno della stessa a qualsiasi atto di diritto primario e derivato” e conclude dichiarando che “occorre fare ricorso alla classica tecnica di interpretazione del tenore letterale, dell’impianto … del contesto e della finalità … nonché della genesi”.

Per quanto riguarda il tenore letterale, cita svariati vocabolari europei e conclude che essi di norma “contengono definizioni che corrispondono al nostro intuito in quanto richiedono chiaramente una componente fisica”.

Passando all’esame dell’impianto sistematico, esprime le proprie perplessità sull’interpretazione dell’amministrazione fiscale inglese, secondo la quale nella dizione «pratica dello sport o dell’educazione fisica» la congiunzione «o» indichi che ogni sport deve presentare una componente fisica, ovvero che per il legislatore, i due termini, «sport» ed «educazione fisica», siano strettamente connessi, se non sinonimi. Al contrario, proprio l’uso di una congiunzione disgiuntiva a suo avviso significa che si tratti di due cose in qualche modo diverse, e quindi non necessariamente nello sport debba essere presente la componente fisica.

Per quanto riguarda la genesi della norma, egli ricorda che nei lavori preparatori della direttiva IVA è presente una osservazione proprio della delegazione del Regno Unito, relativa alla necessità che l’(attuale) articolo 132, paragrafo 1, lettere m) e n), richiedesse una definizione più precisa delle attività corrispondenti, “ma tale definizione, a quanto mi consta, non è mai stata inserita nella direttiva IVA”; quindi la genesi della norma in qualche modo conferma che il problema interpretativo era già stato notato all’epoca, ma non dà elementi per una soluzione.

Per quanto infine riguarda gli obiettivi, egli ricorda un elemento molto importante, che ritornerà anche nella sentenza: “la questione in esame non è se lo sport, secondo determinate definizioni, debba comportare un elemento di sforzo o di esercizio fisico, ma semmai se le attività che beneficiano dell’esenzione dall’IVA di cui all’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA sotto il termine «sport» debbano necessariamente comportare un elemento di sforzo o di esercizio fisico”.

Insomma, l’applicazione delle tecniche interpretative classiche non ci dà elementi sufficienti per risolvere la questione in un senso o nell’altro, è quindi necessario ricercare elementi che ci aiutino, ben sapendo purtroppo (e vedremo che l’esito del procedimento conferma questa paura) che difficilmente troveremo una risposta certa. E la conclusione che stiamo cercando riguarderà solo la disciplina IVA e non altri campi, importante questione sulla quale torneremo più avanti.

Le Conclusioni procedono con un’ampia disamina del significato della parola sport nei documenti degli organismi di massimo livello che si occupano della materia; non possiamo ripercorrerla qui, quindi rinviamo ai punti da 37 a 44 delle Conclusioni limitandoci a segnalarne alcuni stralci:

–  “SportAccord International Federations’ Union, la Federazione internazionale dello sport universitario e il Comitato olimpico internazionale includono espressamente in tale nozione gli sport mentali o promuovono attività che non presentano una componente fisica. L’esempio più evidente a tale riguardo è il gioco degli scacchi. Quando non è necessaria una componente fisica, lo sport è definito dal suo carattere competitivo e dal fatto che l’attrezzatura non viene fornita da un unico fornitore”

– “il Comitato olimpico internazionale include lo sport non fisico degli scacchi tra le attività che beneficiano dello status olimpico. Ne deduco che un’attività non deve necessariamente presentare una componente fisica per essere considerata uno sport

– “Una componente fisica obbligatoria escluderebbe ipso facto un certo numero di attività che generalmente sono considerate sport e la cui qualificazione come sport è indubbia, sebbene la componente fisica sia più che marginale. A tale proposito mi vengono in mente il tiro a segno o il tiro con l’arco”.

– “Da quanto precede risulta che molte attività continueranno ad essere escluse dal termine «sport». La definizione esclude necessariamente i giochi d’azzardo, poiché non sussiste alcun nesso tra lo sforzo investito e il risultato, e le azioni implicate non richiedono alcuna abilità mentale o fisica”.

Dopo questa ampia e articolata analisi l’Avvocato è costretto a compiere un “saltello logico”: non trovando elementi certi, è costretto a ricorrere alla locuzione “A mio avviso”, alla quale segue l’affermazione che “non deve necessariamente esistere una determinata componente fisica. È vero che poche attività non fisiche rientreranno nella definizione di uno sport, in quanto non possono essere puramente ricreative, devono avere un certo grado di accettazione e devono presentare le caratteristiche e i benefici associati alla maggior parte degli sport fisici”.

E quindi, continuando a utilizzare la prima persona singolare e non un termine più impersonale: “propongo di rispondere alla prima questione dichiarando che, tra le caratteristiche che un’attività deve presentare per essere uno «sport» ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA, non è necessaria una componente fisica non irrilevante e decisiva per il suo esito. È sufficiente che l’attività presenti una componente mentale rilevante e decisiva per il suo esito”.

Da ciò, il semaforo verde (“a mio avviso” …) per l’esenzione IVA del bridge duplicato.

4.   L’iter argomentativo e la decisione della Corte

La sentenza della Corte di Giustizia è come quasi sempre molto puntuale, in primo luogo inquadra la questione e quindi delimita il suo ambito d’indagine, poi affronta la questione sollevata dall’amministrazione tributaria inglese: uno «sport» ai sensi della normativa comunitaria IVA deve avere una rilevante componente fisica?

Esaminiamo con attenzione sia l’inquadramento che la soluzione a cui giunge, perché ciascuno fornisce elementi interessanti, rilevando che la sentenza sostanzialmente ripercorre l’impostazione e le considerazioni dell’Avvocato Generale, ne condivide i dubbi e le modalità di soluzione, conferma la necessità di una interpretazione restrittiva ma comunque in linea coi principi della norma, con una sola piccola differenza: giunge a una conclusione diametralmente opposta!

a) Inquadramento della questione e delimitazione dell’ambito dell’indagine

La Corte chiarisce che essa “è chiamata non già a determinare il significato della nozione di «sport» in generale, bensì a interpretarla nell’ambito della direttiva 2006/112 relativa al sistema comune d’IVA e, in particolare, delle disposizioni di detta direttiva in materia di esenzioni”.

Correttamente, la Corte si è preoccupata di precisare che la sua valutazione non è sul concetto di sport in generale, non è suo compito né intende quindi invadere aree di competenza di altri organismi nazionali o sovranazionali (CIO, SportAccord, ecc.), ma semplicemente di delimitare il concetto di sport ai soli fini IVA e anzi, ancor più in particolare, ai fini di verificare se al bridge duplicato spettino le specifiche esenzioni che la Direttiva 2006/112 riserva, appunto, allo sport.

b) Gli “sport mentali” sono sport?

Dopo la definizione del proprio ambito d’indagine, la Corte passa a esaminare la prima parte del quesito, ovvero se per essere considerata “sport” una attività debba necessariamente avere una componente fisica non irrilevante.

Come al solito supportando le proprie affermazioni con ampie citazioni della propria precedente giurisprudenza, la Corte espone quindi una serie di considerazioni.

In primo luogo ricorda che “Non essendovi nella direttiva 2006/112 alcuna definizione della nozione di «sport», la determinazione del significato e della portata di tale termine deve essere stabilita … sulla base del significato abituale del termine stesso nel linguaggio corrente, tenendo conto al contempo del contesto in cui esso è utilizzato e degli obiettivi perseguiti dalla normativa in cui è inserito

Per quanto riguarda la nozione di sport nel linguaggio corrente, “quest’ultima designa solitamente, come rilevato dall’avvocato generale …, un’attività di natura fisica o, in altri termini, un’attività caratterizzata da una componente fisica non irrilevante”.

Ma dopo tale richiamo alle Conclusioni dell’Avvocato Generale, la sentenza non prosegue richiamando anche le altre osservazioni, di segno opposto, sempre dell’Avvocato ma si arresta, e anch’essa compie un “saltello logico”: mentre l’Avvocato l’aveva fatto passando a un prudente “a mio avviso” la sentenza lo fa “sparando” una conclusione alla quale non è riuscita a portarci con convincenti passaggi logici:

L’esame del contesto dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2006/112 depone pertanto a favore di un’interpretazione secondo la quale la nozione di «sport» contenuta in tale disposizione si limita ad attività corrispondenti al significato abituale del termine «sport», le quali sono caratterizzate da una componente fisica non irrilevante”.

Punto.

Non essendo riuscita a supportarla con un percorso logico, la Corte si sente poi in dovere di fare alcune ulteriori considerazioni, assolutamente corrette, ma che, non essendo nemmeno esse decisive, suonano un poco come excusatio non petita …:

–  “È certamente vero che … il bridge duplicato richiede in particolare logica, memoria, strategia o pensiero laterale e costituirebbe un’attività che arreca beneficio alla salute mentale e fisica di coloro che lo praticano regolarmente. Tuttavia, anche quando risultino arrecare beneficio alla saluta fisica e mentale, attività puramente distensive e ricreative non rientrano nell’ambito della suddetta disposizione … Ciò considerato, il fatto che un’attività favorisca la salute fisica e mentale non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per concludere che la stessa rientri nell’ambito della nozione di «sport»

– “il carattere competitivo di un’attività non può di per sé essere sufficiente a giustificare la sua qualificazione come «sport», in assenza di una componente fisica non irrilevante”.

– “Inoltre … l’articolo 132 della citata direttiva mira a definire, in modo tassativo, talune attività di interesse generale che devono giovarsi, in via eccezionale, di un’esenzione dall’IVA. Pertanto … un’interpretazione della portata dell’esenzione prevista dall’articolo 132, paragrafo 1, lettera m … consistente nell’includervi attività aventi una componente fisica che appare irrilevante costituisce un’interpretazione estensiva della citata disposizione …, non conforme … alla regola d’interpretazione restrittiva delle esenzioni dall’IVA

La conclusione, come già anticipato, è quindi diametralmente opposta a quella dell’Avvocato Generale:

L’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2006/112/CE … deve essere interpretato nel senso che un’attività, come il bridge duplicato, caratterizzata da una componente fisica che appare irrilevante non rientra nella nozione di «sport» ai sensi di tale disposizione”.
5.  Due osservazioni conclusive sulla sentenza

Già dal tono del commento riteniamo si sia percepito che la sentenza non ci convince del tutto:

– in primo luogo … perché non è convincente; non riesce a portare elementi decisivi e anche l’iter logico seguito presenta un piccolo ma significativo salto logico

– in secondo luogo perché spalanca la porta a possibili conseguenze su altre attività (non abbiamo più il coraggio di chiamarle sport …), prima fra tutte gli scacchi, sulla cui “sportività” non erano mai stati sollevati dubbi

– in terzo luogo, perché introduce un ulteriore elemento di incertezza, nel momento in cui utilizza il termine “irrilevante” in luogo di “inesistente”: il concetto di rilevanza nelle norme e nelle sentenze, quando non è inevitabile, ci piace sempre poco.

In secondo luogo, è doveroso segnalare che la stessa sentenza si preoccupa di lasciare una porta aperta, ipotizzando che all’attività in questione possa applicarsi non l’esenzione ex lettera “m”, ma ex lettera “n” dell’art. 132, ovvero, come già scritto sopra quali “servizi culturali”, “qualora tale attività, tenuto conto della sua pratica, della sua storia e delle tradizioni a cui appartiene, occupi, in un determinato Stato membro, una posizione tale nel patrimonio sociale e culturale di tale paese da poter essere considerata come facente parte della sua cultura”.

Una porta aperta, quindi, ma aperta su un sentiero né breve né semplice da percorrere …
6.  E ora, alle a.s.d. che si occupano di sport a minima componente fisica, cosa succede?

Sia l’Avvocato generale che la Corte di Giustizia appaiono sufficientemente concordi nell’affermare che:

– non esiste una definizione di sport valida in tutti i contesti

– la sentenza si occupa solo dell’assoggettamento o meno a IVA.

Di conseguenza:

a) i circoli bridge hanno un problema. E’ vero che la normativa interna non cambia, che l’art. 4 del D.P.R. 633/72 rimane immutato, che forse gli uffici dell’Agenzia delle Entrate non si muoveranno automaticamente per rispettare una sentenza che dice qualcosa di diverso dalla legge che sono chiamati ad applicare, che sarà necessaria quantomeno una Circolare che dia loro specifiche istruzioni, ma … la normativa IVA è di diretta applicazione nei Paesi membri e la sentenza è chiara e inequivocabile.

E’ vero altresì che per ottenere l’applicazione in Italia del principio della detraibilità dell’IVA sugli acquisti anche se non annotati nei registri IVA (principio chiarissimo da tempo nella normativa comunitaria, in contrasto con il D.P.R. 633/72) ci sono voluti anni di lotte furibonde, e ancora alcuni uffici continuano a sostenere il contrario, ma in quel caso si trattava di sentenze a favore del contribuente, e ora di una sentenza a favore dell’Erario: temiamo che l’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate sarà diverso ….

b) tutte le associazioni che si occupano di sport “mentali” o comunque senza una componente fisica hanno anch’esse un problema. Più piccolo, perché su di esse non ci sono ancora pronunce ufficiali “con nome e cognome” ma, scorrendo l’elenco delle “Discipline CONI” troviamo, oltre agli scacchi, dama, go, aeromodellismo, auto storiche, imbarcazioni a vela radiocomandate, e alcuni degli sport tradizionali; non vediamo come a essi non si possa applicare il medesimo principio.

c) per chi si occupa di sport per i quali la stessa legge italiana non richiede il certificato medico ritenendoli a minimo impegno fisico (biliardo, bocce, bowling e dintorni) la questione forse non si pone in via automatica, ma dato il tenore “drastico” della sentenza, qualche preoccupazione sicuramente, quantomeno in ottica futura, potrebbe esserci; forse meglio difendibili sono gli sport di tiro, espressamente ricordati dall’Avvocato Generale, perché una minima componente fisica in essi si può ritrovare (e poi stiamo parlando di svariate specialità olimpiche, e andare a dire che non sono sport ci parrebbe francamente eccessivo …)

Ma quali sono le dimensioni di questo probolema? Cosa succede, dovrebbe succedere, forse succederà, a queste associazioni, che non sono certo poche?

La decisione riguarda solo ed esclusivamente l’esenzione IVA, e non vale quindi per nessun altro aspetto, e non solo perché solo l’IVA è tributo comunitario sul quale è Bruxelles ad avere pieni poteri, ma anche perché la sentenza si preoccupa più volte di rimarcare che non esiste una definizione di sport valida in tutti gli ambiti, e che l’unico aspetto del quale essa si occupa è, appunto, l’IVA.

Quindi, fino a diverse disposizioni del CIO, di SportAccord, del CONI, della legislazione italiana, ciò che la Corte ha detto non ha quindi alcuna rilevanza, p.es., ai fini del riconoscimento del bridge duplicato (e delle discipline analoghe) come attività sportiva, della legittimità di una Federazione Italiana Gioco Bridge riconosciuta dal CONI come disciplina sportiva, della presenza del bridge nel ben noto elenco delle discipline sportive che consentono l’iscrizione al Registro CONI, della possibilità di corrispondere compensi sportivi ex art. 67 TUIR agli istruttori o ai giudici del bridge, e così via.

L’unica conseguenza è che le quote di partecipazione alle competizioni sono soggette a IVA, come pure le quote dei corsi (salvo che possa applicarsi l’esenzione IVA dei corsi ai sensi dell’art. 10, n. 20, DPR 633/1972 “prestazioni didattiche o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni”, se la Federazione si attiverà in tal senso).

No panic, quindi. Per ora.

[Articolo pubblicato su Fiscosport.it]