Legge 398 solo per le attività connesse: la “linea prudente”

Abbiamo già espresso la nostra opinione sulla legittimità della distinzione fra attività connesse e non connesse agli scopi istituzionali sostenuta dalla Circolare 18/2018. Ma chi volesse, quantomeno per prudenza, adeguarvisi, come deve comportarsi? E soprattutto, starebbe effettivamente tranquillo?

In più di un’occasione abbiamo esaminato approfonditamente sia le norme che i documenti di prassi sulla questione, concludendo in estrema sintesi quanto segue:

– il codice civile stabilisce che “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi

– la legge 398 stabilisce che va assoggettato a IVA “qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali” e l’imposta va determinata secondo l’art. 74 del d.p.r. 633/72 (detrazione forfetaria del 50%) applicato a tutti i proventi commerciali

– sempre la legge 398 stabilisce che le imposte sui redditi vanno calcolate sul 3% dell“ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali”, e che verrà emanato un decreto ministeriale per approvare la modulistica e “stabilire le relative modalità di compilazione”

– il decreto regolamentare 544/99 (salvo contraddirsi due commi più avanti: “qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali”) introduce la limitazione dell’applicabilità del “regime 398” alle attività “connesse agli scopi istituzionali”.

La nostra opinione è che la legge stabilisca chiaramente che, in caso di opzione, sia IVA che imposte sui redditi sono determinate applicando coefficienti forfetari a tutti i proventi conseguiti nell’attività commerciale.

Poiché il relativo decreto regolamentare, oltre come detto a contraddirsi, oltrepassa i suoi compiti e illegittimamente introduce una limitazione non prevista dalla legge, tale limitazione non può che essere considerata irrilevante.

2.  La posizione dell’Agenzia delle Entrate nella Circolare 18/2018

La Circolare A.d.E. n. 18/2018 parte invece proprio dal d.p.r. 544/99 affermando che “ai soggetti che hanno optato per la legge n. 398 del 1991, il regime forfetario IVA di cui all’articolo 74, sesto comma, del DPR n. 633 del 1972 si applica per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali “connesse agli scopi istituzionali” (v. articolo 9, comma 1, del DPR n. 544 del 1999). L’applicazione del regime agevolativo di cui alla legge n. 398 del 1991 è, pertanto, limitato alle prestazioni commerciali connesse alle attività istituzionali svolte associazioni o società sportive dilettantistiche senza fini di lucro”.

Abbiamo già detto che contestiamo la validità di tale limitazione, ma chi volesse, per convinzione o prudenza, aderire all’interpretazione data dall’Agenzia nella Circolare 18/2018, come deve comportarsi?

Ben sappiamo che in caso di contestazioni in sede di verifica il percorso non è certo agevole né economico, quindi spesso anche in caso di prese di posizione “forzate” da parte dell’Agenzia, può essere buona politica adeguarvisi, e molti dirigenti si stanno, e ci stanno, chiedendo come comportarsi per farlo anche in questo caso.

La domanda è legittima, cerchiamo quindi di individuare il comportamento da seguire volendo adeguarsi alla tesi dell’Agenzia.

3.  Quali sono le attività connesse e non connesse?

Il ben noto terzo comma dell’art. 148 T.U.I.R. stabilisce che “Per le associazioni … sportive dilettantistiche non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti … e dei tesserati …

Per individuare quali siano le attività connesse la Circolare fa esplicito riferimento a tale comma, affermando che:

Al fine di definire l’ambito delle attività ‘connesse agli scopi istituzionali’ appare utile fare riferimento, in base ad un’interpretazione sistematica, alle disposizioni di carattere fiscale che prevedono particolari norme agevolative, la cui applicazione è parimenti correlata allo svolgimento di attività connesse con gli scopi istituzionali dell’ente sportivo dilettantistico non lucrativo. …
Coerentemente con quanto precisato in merito al requisito della diretta attuazione degli scopi istituzionali ai fini dell’applicazione dell’articolo 148, comma 3, del TUIR, si ritiene che anche relativamente all’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 398 del 1991 l’attività connessa agli scopi istituzionali è quella che costituisce il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l’ente sportivo dilettantistico senza scopo di lucro”.

Inoltre, nel delimitare il concetto di connessione la Circolare fa una scelta precisa e interessante: considera irrilevanti i successivi commi dell’art. 148, in particolar modo il quarto, che ricordiamo recita: “La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, … gestione di spacci aziendali e di mense … pubblicità commerciale …”.

Essa infatti afferma che “Rientrano tra i proventi delle attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, ai fini dell’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 398 del 1991, i proventi delle attività commerciali strutturalmente funzionali all’attività sportiva dilettantistica tra i quali, a titolo esemplificativo, possono annoverarsi i proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, ecc.”

In base alla Circolare rientrano quindi fra le attività connesse quelle “svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali” di cui al terzo comma dell’art. 148, senza tener conto delle esclusioni di cui al quarto comma né, non esistendo mai un richiamo in tal senso, dei requisiti di cui all’ottavo comma: tali attività commerciali rimarranno connesse, e quindi esercitabili in regime 398, anche se l’associazione non si conforma a requisiti operativi e statutari richiesti per poter fruire della decommercializzazione.

Con una importante eccezione: tali attività non saranno più connesse se “svolte con l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato. In sostanza, non potranno essere considerate attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali quelle dirette alla vendita di beni o alla prestazione di servizi per le quali l’ente si avvalga di strumenti pubblicitari o comunque di diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati, ovvero utilizzi altri strumenti propri degli operatori di mercato come, ad esempio, insegne, marchi distintivi, o locali attrezzati secondo gli standard concorrenziali di mercato, al fine di acquisire una clientela estranea all’ambito associativo”.

Tutte le attività che non rientrano nella previsione del terzo comma dell’art. 148 T.U.I.R. sono attività commerciale non connesse, da svolgere in regime ordinario, a cominciare dalle “prestazioni relative, ad esempio, al bagno turco e all’idromassaggio in quanto dette prestazioni non si pongono direttamente come naturale completamento dell’attività sportiva, potendo le stesse, invece, essere rese anche separatamente e indipendentemente dall’esercizio di detta attività”, per proseguire con “i corsi per attività sportive che non rientrano nell’ambito delle discipline sportive riconosciute dal CONI”: interpretazione restrittiva, certo, ma nel momento in cui l’Agenzia ritiene che siano sport solo quelli ricompresi nell’elenco di quelli che danno diritto all’iscrizione nel registro CONI, non vediamo incoerenze.

Addirittura, passando alla seconda parte della Domanda 62., la Circolare ritiene opportuno precisare che “per quanto concerne il quesito posto con riferimento ai servizi di utilizzo dei campi da gioco, degli spogliatoi, degli armadietti e di altre strutture/beni dell’ente sportivo dilettantistico non lucrativo, si fa presente che, detti servizi possono considerarsi rientranti tra le attività connesse con gli scopi istituzionali dall’associazione o società sportiva dilettantistica non lucrativa, purché tali prestazioni siano strettamente finalizzate alla pratica sportiva così come delineata dai programmi dell’organismo affiliante (Federazione Sportiva Nazionale, Ente di Promozione Sportiva, Disciplina Sportiva Associata)”. Se il campo da gioco, lo spogliatoio e gli armadietti sono concessi in uso per lo svolgimento di attività sportiva, si tratta di attività connessa; se per altre attività (il campo da gioco magari per una festa o un concerto, spogliatoio e armadietti per cantanti o musicisti che si esibiscono), non sarà attività connessa.

Conclusivamente, ci pare che la posizione dell’Agenzia sia:

– le attività non “svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali” sono non connesse

– quelle “svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali”, quali che esse siano e quindi senza tener conto di quanto stabilito dal IV comma dell’art. 148, sono connesse solo se relative a discipline comprese nell’ “elenco CONI” e non “svolte con l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato”.

4.  Quali le conseguenze di tale distinzione, e quale il comportamento da tenere?

Nel già citato articolo di Patrizia Sideri sono state affrontate le non poche difficoltà nel gestire sotto il profilo contabile e amministrativo le tre, anzi quattro, diverse attività (istituzionale, decommercializzata, commerciale connessa e commerciale non connessa), e ci pare che ciò sia un ulteriore dimostrazione dell’assurdità (oltre che della illegittimità) della limitazione introdotta dal d.p.r. 544/99: l’opzione per la legge 398, chiaramente e dichiaratamente introdotta per semplificare gli adempimenti contabili e fiscali delle associazioni sportive dilettantistiche, in modo che non siano obbligate a tenere una doppia contabilità, richiede che ne tengano … una quadrupla!

Ma questo l’abbiamo già detto e ribadito. Ora, vogliamo integrare quanto già scritto con due considerazioni aggiuntive.

In primo luogo, come si calcola il supero o meno del limite dei 400.000 euro?

Nella Guida “Associazioni Sportive Dilettantistiche: come fare per non sbagliare” edita nel settembre 2015 dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte, che prima della Circolare 18/2018 ha seguito il principio della “connessione”, alla domanda “Quali sono le condizioni di accesso al regime” si risponde “Il regime è riservato, su opzione, alle associazioni che nel periodo di imposta precedente hanno conseguito proventi derivanti dall’esercizio di attività commerciali non superiori a 250.000 euro” [oggi 400.000]. Senza alcuna limitazione alle attività connesse.

Limitare l’applicazione della Legge 398 alle sole attività connesse, ma tener conto nel limite anche dei proventi da quelle non connesse lascia estremamente perplessi, ma questo è quello che è stato scritto nella Guida, la Circolare 18 non affronta la questione, quindi ci è parso opportuno segnalarlo.

In secondo luogo, per le attività non connesse, è applicabile la determinazione forfetaria del reddito ex art. 145, I comma, del T.U.I.R.?

Riterremmo di sì, sorgono a nostro avviso dubbi nell’individuazione del coefficiente da applicare: ciò deve essere effettuato tenendo conto della sola attività non connessa, o di tutta l’attività commerciale? Ipotizziamo 100.000 euro di ricavi da attività commerciali connesse, tutte per servizi, e 10.000 euro da commercio di materiale sportivo considerato attività non connessa; il coefficiente sarà:

– il 25%, perché il totale dei ricavi commerciali è composto prevalentemente di servizi, e supera i 30.000.000 di lire

– il 10%, perché i ricavi da attività non connesse non provengono da servizi e il totale dei relativi ricavi è inferiore e 50.000.000 di lire?

Propenderemmo per la seconda ipotesi, ma se stiamo cercando la soluzione che ci eviti ogni possibile contestazione …

5. … ma siamo sicuri che i verificatori la applicheranno?

E se tale distinzione non venisse presa in considerazione proprio in sede di verifica?

Tale ipotesi non ci pare del tutto fantasiosa, perché nasce de due ordini di considerazioni: la convenienza e il possibile sfruttamento a fini elusivi.

5/a La convenienza

Se sotto il profilo amministrativo/contabile la tenuta della quadrupla contabilità, con l’imputazione dei costi promiscui (provvisoria in corso d’anno, con conguaglio a consuntivo) è un incubo, sotto il profilo delle imposte dovute le conseguenze potrebbero anche essere vantaggiose per i contribuenti, sia per quanto riguarda il supero dei limiti di Legge, sia per quanto riguarda le imposte da versare.

Per quanto riguarda il supero del limite, con 350.000 euro di ricavi da attività connesse e 350.000 da attività non connesse, siamo proprio certi che in sede di verifica vada tutto bene?

Per quanto invece riguarda le imposte da versare, per le imposte dirette, in un bilancio abitualmente più o meno in pari, con l’imputazione dei costi promiscui proporzionale alle entrate, è probabile che anche il reddito delle attività commerciali, sia connesse che non connesse, sia vicino a zero (non a caso la legge 398 fissa una redditività del 3%).

Per quanto riguarda l’IVA, tipiche attività non connesse sono il commercio di articoli sportivi (e non) e la ristorazione, e:

– l’attività di commercio ha una forte incidenza di costi soggetti a IVA (tutti gli acquisti di merci) ed è possibile che l’IVA detraibile sia superiore al 50% dell’IVA sulle vendite,

– analoghe conseguenze si potrebbero verificare per l’attività di ristorazione, che ha IVA vendite al 10% mentre la maggioranza degli acquisti ha IVA ordinariamente al 22%.

E allora assembliamo tali due aspetti e ipotizziamo 350.000 euro di ricavi da sponsorizzazioni, 150.000 da commercio e 200.000 dal ristorante, considerate non connesse:

a) con la distinzione fra attività connesse e non connesse, per i 350.000 euro ci avvaliamo della 398 e quindi versiamo solo il 50% dell’IVA anche se fra i costi specifici di tale attività ve ne saranno probabilmente ben pochi soggetti a IVA, mentre dell’IVA vendite da commercio e ancor più di quella dal ristorante ben potremmo essere tenuti a versare meno del 50%

b) senza la distinzione fra connesse e non connesse intanto siamo fuori dalla 398, e in secondo luogo l’IVA da versare sarà con ogni probabilità superiore.

O ancora: 390.000 euro di ricavi da sponsorizzazioni, e 20.000 da affitti attivi e corsi di krav maga: siamo sotto il limite della 398?

O infine: 360.000 euro da sponsorizzazioni e 50.000 dal ristorante: come si giudica se è gestito “senza l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato”? L’averlo trattato in regime ordinario costituisce una sorta di “autocertificazione di non connessione” valida in sede di verifica?

5/b) il possibile sfruttamento a fini elusivi

C’è infine una ulteriore considerazione, che è emersa proprio da quesiti trasmessi a questa rivista, e riguarda la possibile convenienza, soprattutto a fini IVA, della suddivisione:

– se una associazione sportiva in regime 398 effettua in rilevante investimento per realizzare il ristorante,

– o per acquistare 10 calciobalilla che porteranno ricavi specifici irrisori,

– o per arricchire la propria struttura con un impianto per il paintball e acquistare le relative attrezzature

siamo sicuri che l’integrale detrazione dell’IVA su tali acquisti non verrà contestata?

6)  Conclusioni

In condizioni “normali” la distinzione fra attività connesse e non connesse appare delineata con sufficiente chiarezza e coerenza dalla Circolare 18/2018, e chi volesse seguirla riteniamo possa farlo senza insormontabili difficoltà (a parte il delirio delle rilevazioni contabili).

Ma proprio perché stiamo cercando una soluzione prudente, deve a nostro avviso essere prestata attenzione ad alcune criticità:

– nel calcolo del supero o meno del limite dei 400.000 euro vanno considerati solo i proventi da attività connesse o no?

– come comportarsi se si decide di avvalersi per le attività non connesse del regime forfetario di cui all’art. 145 T.U.I.R.?

– è possibile che la distinzione sia contestata proprio da verificatori? e ciò soprattutto quando considerare un’attività non connessa porti rilevanti vantaggi all’associazione?

Se prudenza vuole essere, non possiamo ignorare questi dubbi.

[Pubblicato su Fiscosport.it]