La legge 398, questa (ancora in parte, da molti) sconosciuta?
Nelle domande dei dirigenti, e purtroppo anche in molti verbali dei verificatori, vediamo ancora un po’ di confusione: cerchiamo di fare chiarezza, partendo dal perché di questa disposizione
Lo scopo delle associazioni e l’attività istituzionale
Le associazioni nascono per soddisfare una esigenza, una passione, una volontà dei soci, che non è quella di realizzare e distribuirsi un utile.
In particolare le sportive nascono e svolgono la loro attività per consentire ai loro soci di praticare o in generale organizzare attività sportiva dilettantistica.
Tale attività ha ovviamente dei costi, e tali costi (tralasciando contributi e donazioni, che complicherebbero il discorso e sono comunque scarsamente rilevanti) sono coperti in primo luogo dalle quote dei soci, che possono essere uguali per tutti o modulate in modo che chi più usufruisce dei servizi dell’associazione, contribuisca in misura maggiore; un banale esempio:
– 100 euro annui per poter partecipare a tutte le attività
– 10 euro annui, più 2 euro per ogni volta che si va a praticare attività, più 5 euro per corso a cui si partecipa, ecc.
Queste quote dei soci, comprese quelle specifiche pagate per usufruire dei servizi, non sono quindi per l’associazione il ricavo di una attività commerciale, ma semplicemente un modo per ripartire più o meno equamente le spese fra i soci.
Sia il Testo Unico delle Imposte sui Redditi che la normativa IVA recepiscono tale concetto, stabilendo che tutte le quote pagate da soci per svolgere attività sportiva sono irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi, e fuori del campo di applicazione dell’IVA.
La norma fa poi un passo ulteriore, estendendo tale agevolazione, oltre ai soci, anche ai tesserati per la federazione o ente di promozione sportiva a cui è affiliata l’associazione.
L’attività commerciale
L’associazione, accanto all’attività istituzionale, può anche svolgere una o più attività commerciali, a condizione che gli eventuali utili di tali attività non vengano distribuiti fra i soci, ma restino nell’associazione; ciò, per finanziare la sua attività istituzionale, in primo luogo per coprire parte delle spese e quindi poter diminuire le quote a carico dei soci.
Nel caso in cui svolga attività commerciale essa si trova esattamente nella situazione delle persone fisiche:
a) se la svolge saltuariamente, avrà un reddito da attività occasionale e non sarà tenuta ad aprire una posizione IVA
b) se la svolge continuativamente, dovrà aprire una partita IVA e comportarsi di conseguenza
c) sia ai fini delle imposte dirette che ai fini IVA dovrà essere tenuta chiaramente separata l’attività istituzionale (che corrisponde alla vita privata delle persone fisiche) da quella commerciale perché:
– ai fini delle imposte dirette, il reddito imponibile sarà pari ai ricavi dell’attività commerciale, meno i costi di tale attività
– ai fini IVA, da quella che riscuoterà dai propri clienti per le attività commerciali esercitate potrà detrarre quella sulle fatture di acquisto sempre riferibili alle medesime attività commerciali svolte.
Il problema dei costi promiscui …
Il problema è che, mentre la distinzione fra entrate istituzionali ed entrate commerciali è (salvi casi-limite e situazioni particolari) facilmente risolvibile, la gran parte dei costi di una associazione sono “promiscui” ovverosia relativi sia alle attività istituzionali che alle attività commerciali. Ad esempio:
– l’impianto sportivo serve sia per l’attività istituzionale che per le competizioni (attività istituzionale), da cui derivano incassi della biglietteria e soprattutto sponsorizzazioni (attività commerciale)
– gli allenatori possono allenare sia i bimbi dei corsi di avviamento, che gli atleti della prima squadra, i cui risultati portano biglietti e sponsor
– i compensi degli atleti sono relativi all’attività commerciale (biglietti e sponsor) o anche all’attività istituzionale (bambini e ragazzi che si iscrivono ai corsi per emulazione dei campioni)?
E una volta chiarito che pressoché tutti i costi sono “promiscui”, in che modo debbono essere ripartiti fra attività istituzionale e commerciale? ancora un esempio: l’affitto e le utenze dell’impianto vanno ripartiti fra attività istituzionale (corsi per i ragazzi) e commerciale (biglietti e sponsor):
– in base ai ricavi delle due attività, quindi 90% sul commerciale e 10% sull’istituzionale
– o in base alle ore di utilizzo, quindi 10% commerciale e 90% istituzionale?
È evidente che sono necessarie stime e valutazione almeno in parte soggettive, in quanto tali contestabili in sede di eventuale verifica, e quindi inevitabilmente fonte di problemi e preoccupazioni per tutti i soggetti coinvolti.
… e la sua soluzione: la legge 398
E la legge 398/1991 ha risolto questo serio problema in modo semplice, diremmo quasi elegante, alleggerendo di impegni i dirigenti senza alcun danno per l’Erario.
Quali siano i ricavi è facile individuarlo, e il problema, soprattutto per i soggetti di minori dimensioni e quindi senza un apparato amministrativo, sono i costi? Benissimo: si offre a chi ha un volume contenuto di ricavi commerciali (oggi 400.000 euro) la possibilità di aderire a un regime forfetario nel quale si tengono in considerazione solo i ricavi:
– ai fini delle imposte dirette si considera reddito imponibile il 3% dei soli ricavi commerciali
– ai fini IVA, si versa forfetariamente il 50% dell’IVA riscossa sui ricavi commerciali (2/3 nel caso di cessione di diritti radiotelevisivi, ma nessuno ha mai visto un’associazione di queste dimensioni percepire diritti radiotelevisivi …).
E siccome interessano solo i ricavi e il meccanismo è forfetario:
– non serve tener conto dei costi, quindi non serve la tenuta di una contabilità separata e dei registri IVA
– dal momento che l’IVA viene versata trimestralmente e non ci possono essere conguagli o ulteriori conteggi da fare, non serve presentare la dichiarazione IVA annuale
e quindi anche gli adempimenti contabili e amministrativi possono essere ridotti al minimo.
La conclusione, semplice ma da aver ben chiara
La confusione di cui abbiamo detto nel titolo, presente in molti anche fra i verificatori, è nel corretto inquadramento del rapporto fra attività istituzionale e commerciale da un lato, e legge 398 dall’altro; ne ribadiamo i principi:
– la legge 398 riguarda solo l’attività commerciale
– le violazioni ai requisiti della legge 398 comportano la disapplicazione di essa, non l’attrazione all’attività commerciale dei ricavi istituzionali: se supero i 400.000 euro, perdo la 398, ma le quote dei soci e dei tesserati rimangono non commerciali!
– se non suddivido correttamente i ricavi fra istituzionali e commerciali, per la parte commerciale la 398 rimane valida: se i ricavi del bar o il contributo finalizzato del Comune erano stati considerati istituzionali e vengono ricollocati fra i commerciali, reddito e IVA da versare vanno comunque calcolati con i principi della 398 (ovviamente, fino a quando considerando anche tali ricavi non si superano i 400.000 euro).
Insomma, due campi di applicazione collegati ma ben distinti.